
"Qualcuno dovrebbe spiegare al signor Curcio che il Pecci non è un campo di battaglia politica. Il Pecci è un bene per la città che andrebbe salvato, a cui tutti dovremmo voler bene come se fosse il Duomo, il pulpito di Donatello o Il Buco di Moore. Sono stufo di questi attacchi. Procederò per vie legali, è diffamazione". Angiolo Barni, chef e titolare del ristorante "Myo" (che fa capo alla società Pa.Ba.) all’interno del Centro Pecci, non ci sta. E dopo gli ultimi conti mostrati dal consigliere comunale della Lega Curcio in cui si chiama in causa la sua attività ha voluto mettere le cose in chiaro.
Che cosa pensa delle polemiche sul Centro che hanno tirato in ballo il ristorante?
"I miei clienti mi chiedono cosa sta succedendo. E’ fastidioso e imbarazzante, soprattutto quando si parla di una attività che lavora correttamente e ha dipendenti. Non ci sto che venga messo alla gogna".
Nel mirino sono finiti i conti, il fatto che nei primi anni la sua società non avrebbe pagato l’affitto alla Fondazione.
"Se il signor Curcio venisse a parlare con me avrebbe un quadro più chiaro della situazione. I soldi vantati dalla Fondazione non erano dell’affitto ma delle utenze. Il Pecci ha un unico contatore e l’accordo era quello di estrapolare le letture dei consumi del ristorante. Cominciarono, però, ad arrivare bollette da cinquemila-seimila euro e allora non c’era il caro carburanti. Con la presidente dell’epoca, Irene Sanesi, eravamo d’accordo di mettersi a un tavolo per ricostruire le spese. Restarono le fatture senza la nota di credito anche perché dovevamo fare la compensazione con le spese degli eventi inaugurali, circa 60mila euro".
Poi cosa è successo?
"Cambiò il consiglio di amministrazione e dalle carte spuntarono le fatture, prima che si potesse ricostruire le spese".
Così nel 2021 siete arrivati alla transazione?
"Certo. Per aprire il ristorante e il bistrot ho fatto lavori per circa 300.000 euro. Solo la cucina in muratura del ristorante è costata 90.000 euro. Funziona come in qualsiasi accordo di affitto. Se l’affittuario fa lavori e migliorie nell’immobile, il proprietario le scala dall’affitto. E’ una prassi normale. Ho ceduto quei beni e ho compensato quanto dovevo avere per le inaugurazioni".
Adesso paga 1,500 euro?
"No, ne pago circa 3.500 al mese comprese le utenze. Do alla Fondazione 40.000 euro l’anno. Almeno quelli li hanno".
E lo scontrino intestato alla Fondazione con le uova a 60 euro?
"Sono tre piatti di uova al tartufo. Quanto pensano che costino? Per quel pranzo sono stati spesi 42 euro a testa".
I componenti della Fondazione vengono spesso a mangiare da lei? Spendono tanto?
"Non li vedo quasi mai e, devo dire la verità, quando vengono sono molti attenti al budget. All’inizio credevo che il museo mi avrebbe portato chissà quanti clienti o eventi. L’euforia iniziale è svanita presto".
Dal museo arrivano clienti?
"No, ho i miei. Dal museo non passa nessuno e noi lo sappiamo bene perché stiamo qui 20 ore al giorno, nessuno lo vive come noi. Meno di così non ci potrebbe dare. Il Centro ha un valore e potenziale enormi che a causa di errori di gestione non stati valorizzati".
Quando il Centro inaugurò aveva più aspettative?
"Sì. Per sei mesi ci fu un gran passaggio, dopo non si è più visto nessuno. La gente viene solo per il ristorante. E’ un progetto in cui ho creduto perché sono un amante dell’arte. Sul Pecci si fa speculazione politica, deve essere restituito alla città".
Laura Natoli