
Stracci e. vecchie fabbriche, il lavoro delle donne. Prato, anni ’70 Foto Desideri
Un giovane Benigni che stringe le mani al circolo di Vergaio. I banchi del lunedì al mercato di piazza Mercatale, gli ambienti ‘spartani’ del bar Maddalena dove sulle pareti si scrivevano frasi tipo ‘Siamo creature della notte’. E poi i volti dei volontari delle feste dell’Unità all’Ippodromo: chi si ricorda della mongolfiera che portava i visitatori a vedere la festa dall’alto? Ci si diverte a spulciare fra i manifesti politici che ancora oggi, a riguardarli, vibrano di lotta e rivendicazione, non solo elettorali ma anche quelli di protesta come quella contro la centrale nucleare al Brasimone. Cartoline di un’altra epoca, una lente d’ingrandimento puntata su quasi un mezzo secolo di storia, quella dell’attività di Dryphoto, che s’intreccia con la storia della città e la sua evoluzione. Una miniera inesauribile di immagini, memorie e documenti in cui basta un click per immergersi: è l’archivio digitale open source di Dryphoto, una delle energie culturali più vive di Prato dal 1977 a oggi. Intorno al fondatore Andrea Abati e alla sua storica spalla Vittoria Ciolini, attuale presidente dell’associazione, ruota oggi un gruppo di giovane esperte di fotografie e archivi digitali: Irene Tempestini, Alice Bartolini, Costanza Abati e Serena Becagli. E’ consultabile da tutti e gratuitamente in rete è un patrimonio di 12.580 documenti, un materiale eterogeneo suddiviso per macroaree: quello attualmente online (archivio.dryphoto.it) rappresenta il 25% dell’archivio complessivo e abbraccia un periodo che va dagli anni Settanta agli Novanta. Un progetto che ha avuto subito il sostegno Diana Toccafondi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, il cui contributo è stato determinante per dare gambe alla digitalizzazione dell’archivio (Dryphoto ha saputo intercettare anche i finanziamenti europei Pnrr).
"Quando si ha una storia alle spalle arriva il momento in cui di questa storia siamo responsabili e si sente il bisogno di restituirla – ricorda Toccafondi - Gli archivi sono le nostre cortecce cerebrali esteriorizzate, bisogna fare in modo che siano interrogabili e diano consapevolezza su dove stiamo andando. Gratitudine a Dryphoto per questa condivisione". Un lavoro che non si ferma qui ma che punta a scavalcare il nuovo millennio con altre preziose informazioni da mettere in rete. Non solo spazio espositivo che nel 1981 si trasferì dal Centro di documentazione nel salotto buono di via Pugliesi, sulle ceneri di un’ex ciclofficina, un vero presidio culturale fino al 2013 (oggi Dryphoto è in via delle Segherie), ma sempre accompagnato da un’intensa attività laboratoriale che si rivolgeva all’operaio come all’universitario, secondo gli insegnamenti di un maestro della fotografia come Luigi Ghirri, cui fu dedicata una mostra nel 1981. Fotografia militante, vicina agli ultimi, attenta ai segni lasciati nel paesaggio, dal calcio ai comizi politici secondo il concetto ripetuto ieri da Abati in conferenza stampa che "bisognava portare l’arte dalle persone e non le persone dall’arte". Sembra di ritrovare questo spirito negli scatti sulla mostra del calcio a cielo aperto in piazza del Comune, con tanto di colonna sonora, alla fine degli anni ’70. Racconta un simpatico aneddoto Vittoria Ciolini sulla genesi del nome di Dryphoto per la sede di via Pugliesi. "La scelta di ‘dry’ è legata al Martini perché l’unico libro rimasto al Centro di documentazione parlava di cocktail. Leggerezza, che non significa superficialità, è sempre stata una delle nostre caratteristiche". L’idea di un archivio digitale aperto ha preso corpo durante il Covid: ne è nato un bel progetto in dialogo fra passato e futuro, pensando ai giovani. Come Irene Tempestini che alla storia di Dryphoto ha dedicato addirittura la tesi di laurea.
Maria Lardara