
Piccola, lontana dagli sguardi, bellissima: la scultura nell’"occhio" della chiesa di San Francesco potrebbe essere opera di Donatello. L’ipotesi di attribuzione è autorevole, non solo perché viene da una stimata storica dell’arte come Lia Brunori, ma soprattutto perché arriva dopo uno scrupoloso restauro, che ha consentito di riportare alla luce gli splendidi dettagli della scultura, di studiarli da vicino come forse prima non era stato mai fatto, di confrontarli con altre opere del grande maestro del Rinascimento, l’autore del pulpito della nostra cattedrale. L’opera raffigura il Santo di Assisi nell’atto di ricevere le stimmate e fino ad oggi era associata alla scuola robbiana. Nel 2013 lo studioso Andrea De Marchi, in occasione della grande mostra "Officina pratese. Da Donatello a Lippi" al Museo di Palazzo Pretorio, aveva attribuito la scultura ad Andrea Della Robbia e aveva lanciato un appello, poi raccolto da Tomaso Montanari, affinché venisse salvata dal degrado: "Una sublime opera d’arte morente", l’aveva definita quest’ultimo. La nuova ipotesi di attribuzione è stata annunciata ieri mattina ed è contenuta nel volume dedicato al restauro dell’opera "Le stimmate di San Francesco. Una scultura riscoperta", a cura della stessa Brunori e di Francesco Marchese, coordinatore dell’ampio progetto di ristrutturazione del complesso di San Francesco.
"Nonostante sia da quasi sei secoli sotto gli occhi di tutti, questo rilievo rappresenta una delle opere meno conosciute del patrimonio artistico della città", scrive Brunori. Ma adesso il restauro ha consentito di apprezzare la spettacolare rappresentazione del momento in cui Francesco riceve la visione del serafino, che in forma di Cristo Crocifisso gli dona le stimmate, con le rocce e gli alberi alle spalle del santo, Frate Leone alla sua sinistra e la piccola chiesa a destra, probabilmente il convento della Verna. Queste soluzioni tecniche si porrebbero in sintonia con quanto si stava facendo a Firenze dagli anni Venti del XV secolo grazie al genio di Brunelleschi, di Masaccio e naturalmente di Donatello. "Il rilievo pratese recepisce a pieno questa lezione con assoluta genialità inventiva e freschezza di ispirazione – scrive Brunori –. Direttrici luminose e linee prospettiche costruiscono la scena proiettandola in uno spazio ormai pienamente soggetto alle leggi dell’uomo, secondo le nuove elaborazioni brunelleschiane". Non solo. La funzionaria della Soprintendenza sottolinea che l’utilizzo di una tecnica particolare come lo stucco porterebbe a escludere il riferimento robbiano, nel libro infatti ci si chiede: perché Andrea Della Robbia, campione dell’uso della terracotta invetriata, avrebbe dovuto abbandonare questa tipologia di indiscusso successo per fare un’opera così esposta alle intemperie?
In età giovanile Donatello ha esplorato certamente l’uso della terracotta – ne è una felice testimonianza La Madonna con bambino fra due angeli della collezione di Palazzo Pretorio – ma ha anche lavorato spesso con lo stucco. Ne parla Vasari, che lo ricorda "Pratico negli stucchi", e di questa tecnica, della quale era "unico nella Firenze del tempo", restano testimonianza le decorazioni della sacrestia vecchia di San Lorenzo: "Analoga è la malta composta da aggregato sabbioso, calce idraulica e abbondante presenza di ossidi e idrossidi di ferro di colore giallo rossastro, usati per ottenere stucco pigmentato", sottolinea la storica dell’arte. Quella di Brunori è un’ipotesi di grande suggestione ma, anche se suffragata da vari riscontri, necessita di altri documenti che possano "diradare i molti interrogativi che accompagnano la lettura del rilievo". Una cosa però è certa: lo stucco quattrocentesco non rischia più di sbriciolarsi condannato dal tempo, ma adesso risplende con la sua bellezza lassù verso il cielo.
Anna Beltrame