di Sara Bessi
Presto a Prato, come nel resto della Toscana, le donne potranno effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica anche nei poliambulatori pubblici attrezzati collegati agli ospedali. La Toscana è stata la prima Regione ad adottare l’aborto farmacologico con la Ru486 ed ora è la prima regione a garantire l’interruzione di gravidanza come prestazione ambulatoriale. "Dobbiamo individuare alcuni spazi adeguati che possano offrire garanzie di sicurezza e privacy per le donne che optano per questa scelta", spiega la dottoressa Valeria Dubini, direttrice attività consultoriali per l’Asl Toscana Centro e responsabile aziendale della Rete Codice Rosa. "A Prato stiamo valutando alcuni locali all’interno dell’area del vecchio ospedale per spostare lì la prestazione dal reparto di ginecologia ed ostetricia del Santo Stefano. E’ il lavoro sul quale ci stiamo concentrando in questi giorni, dopo la delibera della Regione Toscana. Abbiamo quattro mesi di tempo, fino ad ottobre, per individuare strutture che offrano garanzie di sicurezza in collegamento con l’ospedale". E’ la dottoressa Dubini a illustrare i vantaggi di questa novità. "Già da due anni pratichiamo l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica a Firenze, al Palagi, in ambulatorio. La somministrazione della pillola avviene in una sorta di day hospital senza dover mettere a letto le donne e facendole sentire più accolte. Abbiamo notato che la risposta è anche e soprattutto di minore ansietà, perché la somministrazione non avviene in un ambiente ospedalizzato. Non dimentichiamo che si tratta di un percorso faticoso che viene compiuto con consapevolezza e destinato a donne che sono in grado di gestirsi". Una scelta definita "più sicura rispetto all’aborto chirurgico". Dopo la sperimentazione fiorentina, la Regione ha deciso di estendere la pratica a tutto il territorio toscano. "Durante il periodo del Covid-19 almeno la metà delle donne decise ad interrompere la gravidanza ha accettato il percorso dell’aborto farmacologico", afferma. "Da gennaio a maggio abbiamo visto 365 donne e la metà ha optato per questo tipo di aborto, sempre più conosciuto grazie ad un tam tam che si è sparso fra le dirette interessate. Ogni anno si effettuano nel complesso circa mille interruzioni volontarie di gravidanza, comprese quelle chirurgiche e quelle farmacologiche".
La dottoressa Dubini ci tiene a sottolineare che l’aborto medico non è una banalizzazione né tanto meno una passeggiata. "E’ un percorso impegnativo. La pillola abortiva sarà somministrata da medici ginecologi supportati da ostetriche. Questa pratica è un accompagnamento medico all’aborto in modo che la donna non resti mai sola". Vediamo, allora, come funziona. Il primo intervento consiste nell’assunzione di mifepristone. Dopo la somministrazione del farmaco, la donna dovrà restare all’interno del presidio e solo dopo la rivalutazione medica potrà tornare alla propria abitazione. Le verrà fornito il numero di telefono del consultorio e quello del medico di guardia del presidio ospedaliero. Il secondo intervento avverrà dopo 48 ore, nella stessa struttura del primo intervento. Dopo la valutazione dell’evoluzione del caso, se non ci sarà stata espulsione del feto, alla donna verrà somministrato del misopristolo. E dopo un periodo di osservazione verrà programmato il terzo accesso (dopo circa 10-15 giorni).
Il controllo avverrà dopo 14 giorni dal secondo intervento e verrà fissata una successiva verifica dopo circa un mese. In caso di mancato aborto o aborto incompleto, verrà attivata la procedura chirurgica nel presidio ospedaliero di riferimento.
"Si tratta di un intervento che dovrebbe fare meno paura rispetto all’aborto chirurgico - conclude Dubini - In Europa viene utilizzato in molti Paesi, ad esempio in Francia, dove si pratica fin dagli anni Ottanta". La tariffa di questa prestazione (a carico del Servizio sanitario pubblico) è stata fissata in 500 euro: cifra che include il costo del farmaco e si riferisce all’intero percorso assistenziale.