
Veronica Iacovacci dell'istituto di biorobotica
Pontedera, 1 agosto 2019 - Vederlo è quasi impossibile ad occhio nudo. E' più piccolo di un millimetro, è già stato testato sugli animali e anche i costi di produzione, superati quelli di studio e progettazioni, sono interessanti. Ma un ulteriore avanzamento scientifico potrà renderlo iniettabile sull’uomo fino a diventare strategico nella cura dei tumori: potrà garantire l’estrema precisione nel rilascio localizzato dei farmaci, aumentando gli effetti positivi e riducendo quelli collaterali. Una rivoluzione.
Stiamo parlando del primo microrobot capace di cambiare forma per navigare nel modo più efficiente nel corpo, catturare immagini e consegnare farmaci nel luogo giusto: descritto sulla rivista Small, è il risultato della collaborazione fra Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, Politecnico di Zurigo e Istituto «Paul Scherrer».
Il robot è fatto di materiali chiamati idrogel, costituiti per la maggior parte di acqua e progettati in modo da essere sensibili alla temperatura e ai campi magnetici. Questo permette di incorporare nel materiale sia farmaci, sia mezzi di contrasto che consentono di ottenere immagini ad alta risoluzione. «Il microrobot, appunto, è in grado di cambiare forma in seguito a stimolazione con luce infrarossa, ed è questo cambiamento a consentire il rilascio controllato di farmaco», spiega Veronica Iacovacci, della Scuola Superiore Sant’Anna, primo autore della ricerca. Ma come funziona? Il microrobot sfrutta la combinazione di campi magnetici per la navigazione, luce nella banda infrarossa per attivare il rilascio di farmaco e imaging per consentire di “vedere” all’interno del corpo umano, localizzare il microrobot e controllarne la navigazione. Lo studio permette di superare uno dei limiti più evidenti nei trattamenti di terapia localizzata: il controllo dei microrobot attraverso tecniche di imaging clinico ad alta risoluzione.
Se negli ultimi anni la robotica al servizio della medicina e della chirurgia ha permesso il passaggio da terapie altamente invasive a terapie minimamente invasive, la sfida attuale della ricerca è sviluppare sistemi totalmente non invasivi in grado di muoversi con sicurezza e di raggiungere zone ancora inaccessibili con strumenti tradizionali per eseguire terapie localizzate e interventi chirurgici.
«Questo studio - conclude Iacovacci - apre nuove prospettive nell’ambito delle terapie non invasive e fornisce nuovi strumenti per avvicinare tali strategie terapeutiche alla pratica clinica: l’interesse collettivo verso questa nuova frontiera di ricerca potrebbe aprire la strada per nuovi finanziamenti e per nuove scoperte scientifiche che porterebbero a una profonda innovazione nel campo della robotica medica e della terapia localizzata». Tutti i test sono stati effettuati. La fattibilità è dimostrata. Ovviamente per arrivare all’uomo è necessario un passo ancora per metterne a punto il livello magnetico,la strumentazione di controllo e la sicurezza. Ci vorranno alcuni anni. Ma la prospettive sono straordinarie.