SARAH ESPOSITO
Cronaca

L’associazione Eunice "Borse lavoro per le donne vittime di violenza"

Ogni anno le volontarie ricevono una trentina di richieste d’aiuto. La proposta rivolta alle aziende per creare la indipendenza economica.

L’associazione Eunice  "Borse lavoro per le donne  vittime di violenza"
L’associazione Eunice "Borse lavoro per le donne vittime di violenza"

di Sarah Esposito

Le chiamano sopravvissute, sono le donne che sono uscite dall’incubo della violenza. In Valdera esiste un’associazione che da 15 anni sostiene le vittime nel lungo percorso di liberazione. L’associazione Eunice ha la sede a Pontedera, al villaggio Piaggio e nel corso dell’ultimo anno, in collaborazione con le amministrazioni locali, ha aperto uno sportello a Capannoli, alla farmacia di Santo Pietro, e a Bientina alla Misericordia. Ma chi sono le donne che si rivolgono all’associazione, quale percorso le aspetta e quali sono le difficoltà maggiori? Lo abbiamo chiesto alla presidente Maria Anna Abbondanza. "Dall’inizio dell’anno, abbiamo ricevuto 4 chiamate. E in dodici mesi si arriva più o meno intorno alle 30 telefonate. Generalmente il primo approccio è una richiesta di informazioni per capire qual è il percorso legale che le attende. Spesso l’uomo violento minaccia la donna facendole credere che non potrà permettersi un avvocato per sostenere il percorso. Non è così. Più complicato è se si parla di donne straniere senza permesso di soggiorno. In quel caso il problema maggiore sta nella burocrazia che allunga notevolmente i tempi".

L’indipendenza economica è uno degli aspetti cruciali anche all’origine della violenza, quanto conta invece per le sopravvissute?

"Moltissimo. Da tempo sto cercando degli imprenditori o delle imprenditrici che creino, magari in accordo con noi, delle borse lavoro per donne vittima di violenza. Perché se il primo passo per noi è mettere in salvo la donna, il secondo deve essere puntare alla sua autonomia".

Eunice compirà tra poco 15 anni, cos’è cambiato in questi anni?

"Rispetto agli inizi, comincia a esserci un cambiamento importante. Sulla parità di genere e sulla conoscenza della violenza è stato fatto molto a livello culturale e formativo nelle scuole toscane. Ciò che notiamo oggi è che interculturalità che per molti aspetti è assolutamente un arricchimento, sui temi di genere comporta un dover ricominciare quasi da capo. E in questo è fondamentale che ci sia un passaggio di consegne generazionale".

Cosa rimane da cambiare?

"Adesso c’è una buona collaborazione con le forze dell’ordine, frutto anche di una formazione collettiva degli anni passati, rimane la lungaggine processuale con iter troppo lunghi per chi si trova a vivere un periodo di grande confusione".

Esiste un identikit delle vittime?

"Sono donne tra i 25 e i 40 anni che sono state molto legate ai maltrattanti e che per qualche tempo hanno pensato che potessero cambiare, magari hanno giustificato i precedenti episodi di violenza. Il nostro compito è dare sostegno nella totale assenza di giudizio".

Avete notato dei cambiamenti con la pandemia?

"Ci hanno colpito due telefonate di due ragazze adolescenti che ci hanno chiamato a causa dei grossi rapporti di conflittualità con i padri. Legami esasperati da una convivenza forzata".