MICHELE QUIRICI
Cronaca

La città vista dalla ferrovia Federigo Tozzi, in un’opera il suo lavoro alla stazione

Il grande scrittore senese, si trasferì a Pontedera e nel 1920 fu pubblicato il racconto. Il libro postumo e autobiografico ripercorre l’esperienza usando il nome di Leopoldo Gradi.

La città vista dalla ferrovia  Federigo Tozzi, in un’opera  il suo lavoro alla stazione
La città vista dalla ferrovia Federigo Tozzi, in un’opera il suo lavoro alla stazione

di Michele Quirici

I pontederesi non hanno mai amato la loro prima stazione ferroviaria e questo sentimento non era dettato da un capriccio, ma da ragioni ben motivate. Costruita negli anni Quaranta del secolo XIX, con l’arrivo della mitica ferrovia Leopolda, la stazione era posizionata su uno scomodo terrapieno che obbligava i passeggeri e soprattutto i carri, che accoglievano le merci dell’industriosa cittadina, a compiere una faticosa salita. Oltre a questo, i locali erano angusti e si rivelarono quasi subito inadeguati al gran traffico che la struttura doveva sopportare. La popolazione intraprese una serie di azioni, tra cui una gigantesca petizione, per sollecitare il Comune a far pressioni sulla ferrovia per una nuova stazione, ma tutto sembrava cadere nel vuoto. I pontederesi e i passeggeri che arrivavano o transitavano dovettero attendere i primi anni del Novecento quando la città ottenne finalmente un nuovo edificio intorno al quale fu progettata e realizzata una grande zona di espansione occupata quasi totalmente da industrie. Nacque così anche Via Dante e a testimoniare il primo edificio ferroviario di Pontedera restò solo il nome di una strada: Via della Stazione Vecchia.

A pochi anni dalla sua inaugurazione, il novello scalo ospitò una “futura” celebrità: Federigo Tozzi. Nato il 1° gennaio 1883 a Siena, arrivò a Pontedera il 2 marzo 1908 per rivestire il ruolo di aiuto-applicato alla stazione ferroviaria. Il soggiorno nella nostra città durò poche settimane, fino al 1° maggio. Questa esperienza sarebbe rimasta nelle pieghe della biografia del grande scrittore, autore di celebri opere come Con gli occhi chiusi, Tre Croci, Il podere, se Tozzi non gli avesse dedicato un suo scritto: “Ricordi di un giovane impiegato” pubblicato postumo nel 1920. Il protagonista è Leopoldo Gradi, ma l’opera è senza dubbio autobiografica, ricalcando i tratti della vita reale di quei mesi di Tozzi.

Così il senese descrive il suo arrivo in città: “Arrivo a Pontedera dopo le venti. Prendo la valigia, pesante e incomoda, e mi presento al capostazione. Quando entro nella sua stanza, non si alza da sedere. È un uomo anziano, con la barba grigia; ha il berretto rosso e fuma a pipa. La lampadina elettrica, che pende sopra la scrivania, fa pochissima luce; e distinguo male gli altri impiegati, che stanno lì a guardarmi. Il capostazione mi domanda: - È pratico del servizio? Io arrossisco e rispondo: - No; è la prima volta che entro in una stazione. Ho fatto gli esami un mese fa. Egli guarda gli altri, che sembrano adirati e scontenti. Poi, rassegnato, mi ordina: - Domattina, alle sette, si trovi qui. Uscendo, odo che impreca contro la Direzione compartimentale di avergli mandato un impiegato inetto e non uno già pratico”. I giorni passati a Pontedera per Gradi non saranno per niente facili, sia in ufficio, che fuori: “Per le vie, sono guardato da tutti. Le ragazze, che tornano a lavorare negli stabilimenti industriali, ridono di me. Qualcuna dice forte: - Com’è brutto! Pare un prete. Io mi fermo e la guardo. Quella abbassa il capo con le compagne, e si sforza di non ridere”. Nell’opera c’è spazio per molte cose, anche di un raggio di sole, che crea una breccia nel cielo scuro della “città delle ciminiere” e porta nuova luce, facendo scrivere al senese: “Pontedera è il miglior paese che ci sia”.