Condannato a 22 anni a sua insaputa, processo da rifare

Pontedera, storia di un 38enne albanese ritenuto organizzatore e promotore di un'associazione finalizzata allo spaccio di droga

Gli uomini della squadra mobile

Gli uomini della squadra mobile

Pontedera, 24 gennaio Una condanna 22 anni di carcere perché ritenuto organizzatore e promotore di un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti (cocaina ed eroina) e come concorrente in altri delitti fine commessi fino al giugno del 2006. Capo di un’organizzazione i cui corrieri furono bloccati dagli uomini della Mobile in più zone e a più riprese: a Milano, a Firenze e a Reggio Emilia. Ingente il quantitativo sequestrato nel corso dell’intera operazione: 10 chilogrammi di eroina, 2 chili di cocaina e un chilo di hashish. Ma lui non è mai stato a conoscenza del processo e della relativa condanna già passata dal primo grado e confermata in appello. Ma ora si farà un nuovo processo di secondo grado e F.A, 38 anni, residente tra Valdera e Valdarno, il primo febbraio non sarà estradato dall’Albania (dove si trova ora) all’Italia per scontare la pena. La Corte ha accolto l’istanza del difensore del 38enne, avvocato Massimo Parenti di Pontedera, rimettendo i termini e aprendo la porta ad un nuovo procedimento di cui l’imputato sia a conoscenza e possa esserne parte attiva.  Una richiesta alla quale si è opposto il pubblico ministero sostenendo che nel periodo delle indagini e in quello successivo l’imputato si trovata effettivamente in Albania ma in quanto coordinava e promuoveva da lì l’attività criminosa nella quale erano coinvolti anche suoi fratelli. Rilevando anche che il 38enne «si è ben guardato dal tornare in Italia, perché era a conoscenza della misura cautelare emessa a suo carico «come risulta dalle intercettazioni telefoniche» da cui emerge «che questi sapeva degli arresti e si attivava anche per reperire il denaro necessario a pagare gli avvocati agli arrestati».

La Corte ha rilevato però che dal 2006 nulla è più dato sapere in ordine a che cosa l’imputato abbia saputo del processo in corso. E non risulta ai giudici che questi sia a conoscenza dell’esito. Insomma l’albanese non avrebbe mai saputo che nel Bel Paese lo stavano attendendo 22 anni di soggiorno nella patrie galere. Ecco perché, in aderenza ai precetti per i quali la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha spesso richiamato l’Italia, i giudici ritengono che la conoscenza effettiva del processo non possa essere affidata al dato presuntivo dell’irreperibilità dell’imputato che, con lo stato di latitante si è posto nelle condizioni di sottrarsi al procedimento penale, della sua conclusione e della rinuncia all’impugnazione. Il teorema dell’avvocato Parenti ha centrato il segno e un nuovo processo valuterà nuovamente la posizione di quello (ora detenuto in Albania per questi fatti) che la giustizia aveva sanzionato come narcotrafficante. A sua insaputa.