COSIMO ROSSI
Politica

Referendum, Landini fa autocritica. Il leader della Cgil e la sconfitta: “Obiettivo era il quorum: mancato”

Il promotore dei quesiti sul lavoro: 14 milioni di votanti sono un punto di partenza. “Ma non festeggeremo”. Resta il malumore per la politicizzazione del voto

Referendum, Landini fa autocritica. Il leader della Cgil e la sconfitta: “Obiettivo era il quorum: mancato”

Roma, 10 giugno 2025 – Tira “aria dimessa” in casa Cgil. Ma perlomeno il segretario generale Maurizio Landini non si presta a giri di parole: “L’obiettivo era il quorum, non l’abbiamo raggiunto, volevamo che fosse una giornata di vittoria ed è chiaro che non la festeggiamo”. Hanno infatti il pregio di saper far di conto i sindacalisti, perciò Landini non si perde nelle speciose considerazioni sui numeri della partecipazione ai referendum, che sin da prima della consultazione hanno appassionato il ceto politico anche più degli opinionisti.

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Serviva il quorum ed è stato mancato. Fine. Certo, l’interessamento di 14 milioni di italiani alle questioni delle precarietà e la sicurezza sul lavoro, rappresenta “un numero importante” e “un punto di partenza” per il sindacato di Corso d’Italia da 5 milioni di iscritti (per oltre la metà pensionati). Niente passi indietro e macchine avanti tutta, quindi, per il leader della Cgil che guarda già al prossimo congresso per la successione e ancor più alla costruzione di quella eterogenea “opposizione sociale” che continua a manifestarsi a macchia di leopardo e soprattutto senza intersecarsi con la politica quanto è necessario.

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Maurizio Landini

La verità è che “non gli è entrata la scala a incastro”, nota qualcuno in casa Cgil. La strategia referendaria puntava infatti sulla partecipazione al quesito contro l’autonomia differenziata – rimasto escluso per i rilievi della Corte costituzionale – per tirare anche quelli sul lavoro. Ma così non è stato. Anzi: sono stati proprio i rilievi costituzionali delle Regioni di centrosinistra a far naufragare il referendum sull’autonomia che poteva tirare la corsa. Il che meriterebbe una riflessione sulla capacità di organizzare le lotte.

Per Landini da cambiare non è il quorum, ma semmai “l’atteggiamento delle forze politiche rispetto alla democrazia: anche di fronte ai quesiti hanno il dovere di dire quello che pensano, di difendere le proprie idee e poi di fare i conti con il pronunciamento della maggioranza”. Parole critiche verso il modo in cui la maggioranza di centrodestra si è chiamata fuori dalla discussione sui contenuti dei referendum. Lette in controluce, però, esprimono anche il malumore nei riguardi del modo in cui le opposizioni hanno politicizzato la consultazione a scapito dei contenuti sul lavoro. A cominciare dall’asticella a 12 milioni di voti fissata dal capogruppo dem al Senato Francesco Boccia per “l’avviso di sfratto” a Giorgia Meloni, che non è piaciuta per nulla alla Cgil.

Corso d’Italia ha apprezzato che la segretaria dem Elly Schlein si sia spesa fino all’ultimo sulla battaglia che in vero non aveva promosso. Mentre la posizione d’ufficio di Giuseppe Conte, ma persino di Avs, è stata guardata col sospetto addirittura di voler ostacolare eventuali aspirazioni che Landini in vero non coltiva in senso partitico per formazione. Ma il gioco della politica a commisurare il referendum sul governo invece che sul contenuto è parso uno sgambetto all’impegno per la costruzione di quella “opposizione sociale”, a cominciare dal lavoro e dalla Costituzione, che vagheggia Landini.

Sindacato e politica sono del resto mondi forse più diversi di prima: l’uno abituato al contatto diretto coi lavoratori dipendenti e pensionati, l’altra sempre più di opinione; sia l’uno che l’altra sempre più in crisi di rappresentanza e di partecipazione. E, rilevano in Cgil, non c’è nulla meglio del risultato del referendum sulla cittadinanza per raccontare quanto quei 14 milioni pronti a votare su sicurezza e diritti siano più riluttanti quando si tratta di stranieri che lavorano e pagano le tasse come loro.