Ex pompiere trovato morto. La moglie lo minacciava: 'Ti ammazzo'

Processo in aula bunker a Firenze. Testimonianze in aula, i vicini: "Urla e botte in quella casa. Lui dimagrito e con i lividi". Antonio De Witt Molendi aveva lasciato il suo posto nei vigili del fuoco, dopo il disastro del Moby Prince, da cui era rimasto profondamente scosso, "per aver visto troppi cadaveri"

Marinova Bogdana Vessellinova con l'avvocato Berardinelli (Foto castellani)

Marinova Bogdana Vessellinova con l'avvocato Berardinelli (Foto castellani)

Pistoia, 28 settembre 2018 - Liti e urla continue da quell’appartamento, anche di notte, e poi «quell’omone che nel giro di due anni aveva perso almeno venti chili», che usciva di casa coperto di tagli e lividi, «una volta con un occhio nero, un’altra con un orecchio gonfio e violaceo», e che, negli ultimi tempi, «chiedeva i soldi ai passanti, anche per una colazione». Fino al racconto, drammatico, della sera del 4 febbraio 2017, il sabato notte prima della tragedia.

«Abbiamo sentito un tonfo sordo, come di un corpo che cade a terra. E poi il rumore di qualcosa che veniva trascinata da una camera all’altra. Ricordo che io e la mia coinquilina ci dicemmo: questa volta l’ha fatto fuori». E’ una delle testimonianze choc, rese ieri mattina nell’aula bunker della Corte d’Assise a Firenze, davanti alla giuria presieduta dal giudice Raffaele D’Isa, nel processo per la morte di Antonio De Witt Molendi, il vigile del fuoco in pensione, trovato morto nella sua casa di via Ferrucci la mattina del 5 febbraio 2017, coperto di ecchimosi e con diverse ferite su tutto il corpo. Sul banco degli imputati c’è la moglie dell’ex vigile del fuoco, Marinova Bogdana Vessellinova, 50 anni, di origine bulgara, in carcere dallo scorso 5 luglio. L’accusa che pesa su di lei è di «maltrattamenti aggravati dalla morte» (articolo 572, comma 3 del codice penale). Lo avrebbe picchiato fino a farlo morire. Una tragedia sempre intuita dagli investigatori della Squadra Mobile, che hanno svolto le indagini, coordinate dal vicequestore aggiunto Antonio Fusco e dirette dal sostituto procuratore Giuseppe Grieco. Diversa la ricostruzione della difesa della donna, sostenuta dall’avvocato Benedetta Berardinelli, secondo la quale invece non sarebbe dimostrato il nesso causale tra gli ipotetici maltrattamenti subiti e la morte di De Witt.

Fin qui le indagini  e il processo, che ieri ha toccato momenti di grande drammaticità, durante le testimonianze rese dai vicini di casa e conoscenti della coppia. Tutti, a uno a uno, hanno delineato la storia di un uomo mite, Antonio De Witt Molendi, sensibile, che aveva lasciato il suo posto nei vigili del fuoco, dopo il disastro del Moby Prince, da cui era rimasto profondamente scosso, «per aver visto troppi cadaveri», come diceva. Un uomo anche malato, che combatteva da anni con l’epilessia. Ma che aveva subito una impressionante trasformazione negli ultimi anni, proprio in coincidenza con l’inizio della sua relazione e poi del matrimonio.

E’ sempre una vicina di casa a raccontare: «Lei gridava tutte le notti. Una sera l’abbiamo sentita minacciarlo: ‘Ti ammazzo’, diceva. Poi abbiamo sentito la voce di un uomo che diceva: ‘Mamma smettila, gli fai male’. Spesso lei lasciava il marito fuori di casa. Lui suonava e la implorava. Una sera, dopo una delle solite liti, lei lo aveva chiuso fuori e poi gli aveva buttato la spazzatura per le scale. Noi inquilini avevamo protestato, alla fine ci aveva pensato lui a ripulire tutto». E poi quell’avvertimento: «Attenti, perché io sono pericolosa», avrebbe detto Bogdana Vassellinova alle vicine di casa.

Un carattere «fumino» quello di «Boghi», come la chiamava lui, noto a molti nel quartiere. «Un giorno, era entrata nel mio negozio – racconta l’edicolante, che conosceva bene Antonio De Witt – e aveva chiesto un pacchetto di sigarette, dando un pugno sul bancone. Io le ho detto di non farsi più vedere». Poi c’erano quelle ferite, confermate dai vicini di casa e dai conoscenti del quartiere. «Una mattina – ha raccontato un altro negoziante – si è presentato nel bar con un orecchio gonfissimo e violaceo». Ma perché nessuno ha mai chiamato la polizia?, ha chiesto l’avvocato Berardinelli. «Perché tutti – ha spiegato una vicina di casa – evitavamo quella donna».