Vernacolo pistoiese, tra detti, espressioni e vocaboli di un tempo

Seconda puntata sul parlar pistoiese: riscopriamo le espressioni come "a Maresca donne belle e acqua fresca" o "hai bevuto l'acqua dello Sperone?"

Veduta del campanile e della cattedrale (Luca Castellani/Fotocastellani)

Veduta del campanile e della cattedrale (Luca Castellani/Fotocastellani)

Pistoia, 16 maggio 2019 - “Né di maggio, né di maggione non ti levare il pelliccione”, “fino ai santi fiorentini non vestir coi panni fini”. Se non fosse che si tratta di antichi detti famigliari – come ci suggeriscono Anna Paola Niccolai e Anna Turi nel libro “Abbi di tuo, non ti mancherà mai nulla” - vista la stagione che fa ci sarebbe quasi da crederci. Ancora una puntata per raccontare quel linguaggio che continua ad appartenerci in quanto pistoiesi, dopo quella dedicata al vocabolario pistoiese. Il linguaggio rivolto ai bambini è sicuramente quello che più si presta a inflessioni dialettali: come quando si dice a un mimmo “mettiti a ceccia”, per dirgli di mettersi seduto, o quando lo si chiama “bazzaunta” e “trogolone” (bimbo che si è sporcato mangiando) o “ciociolino” (appellativo affettuoso), o quando ancora gli si “fa la rosolina”, il solletico.

Non mancano detti che chiamano in causa paesi, città e borghi: “fare come lo strolago di Brozzi” cioè come quell’indovino che… non ne indovinava una, oppure “la tramontana vien dal Teso: quel che è fatto è reso” (declinazione locale di “il mondo è disteso, quel che è fatto è reso). Assai poco nobilitante il detto “hai bevuto l’acqua dello Sperone?” che stava a indicare una persona un po’ ‘grulla’, forse per la fama ai tempi non eccellente della zona. Chi non ha mai sentito dire, parlando di montagna, “a Maresca donne belle e acqua fresca” citazione della poetessa pastora Beatrice di pian degli Ontani («O fior di pesca, sei vinta in gentilezza da Maresca, ricca di donne belle e d’acqua fresca»). La storica città rivale non manca negli aforismi pistoiesi, come nel caso di “sai che fanno a Prato quando piove? Lasciano piovere”, come a dire di non prendersela tanto.

Il meteo ricorre ancora, quando si parla di “sinibbio” (vento gelido passato sulla neve o misto a nevischio, oppure ancora ‘freddo glaciale’), “léppa” per indicare un freddo acuto o il ben noto “è come Baldo non sente né freddo né caldo”. “Bada, tu sei lì lì per buscarne” vi avrà detto la mamma almeno una volta in punto di darvi uno sculaccione, o “ma come tu se’ ciurmato?” quando non vi eravate vestiti in modo esattamente consono. “A babbo morto” è invece un’espressione usata per significare “mettendocela tutta”, mentre “avere anche il latte di gallina” fa riferimento a tutti i lussi possibili e le comodità che si possiedono.

O che banda è?” quando c’è troppa confusione, “levati da tre passi” quando si invita l’interlocutore ad allontanarsi per non rischiare di discutere, “il che c’è c’è” (“contentiamoci, di più non ho trovato”), “è belle fatta festa finita” (di qualcosa di promettente che si interrompe bruscamente) o ancora “fra ninnole e nannole” quando pur gingillandosi si riesce a far tardi. “Qui fa conca/bua” è quando invece si ha un concentrato di guai o situazioni avverse, mentre un attacco di discorso che vi sarà capitato spesso di ascoltare faceva così: “Da quando in qua si usa...”, come a dire in tono severo “perché ti sei comportato così?” . Bel risultato, bell’oggetto è invece il significato dell’espressione “che ciccia, eh!”.