La chat che più cinguetta sul suo WhatsApp si chiama "Cavalle pelose". Il suo credo la sorellanza e i bar per sole donne. Lei, Lavinia, "allegra femminista nomade", a quasi trentuno anni – lauree già conseguite e dottorato in corso a stipendio zero – aspetta che più di qualche muro possa finalmente cadere, per smettere di sentirsi in ritardo rispetto a tutta quella serie di aspettative sociali che la vorrebbero già "sistemata". Intanto, convinta che di cultura non si mangi, si guarda intorno e scopre il porno fetish. Che ha a che fare con qualcosa di socialmente sconveniente. Di più, ripugnante agli occhi della maggioranza: i peli. Quelli che Lavinia si è lasciata crescere con orgoglio. La "Storia dei miei peli" – (66thand2nd, 2025), ultimo libro di Lavinia Mannelli ambientato tra Pisa e Pistoia – racconta inequivocabilmente quello che da solo dice il titolo: una storia iniziata nel 2003, "o magari 2001, l’anno in cui, in un’ora di ginnastica ho capito che per tutta la vita avrei incontrato persone pronte a storcere il naso se avessi mostrato qualche ciuffo innocente sugli stinchi. Se sono incazzata ancora, dopo tutto questo tempo, è perché quando d’estate vado in giro con i vestiti corti le persone non possono fare a meno di guardare le mie gambe al naturale e fare una smorfia di disgusto". Una rabbia che si traduce nella costituzione di un collettivo, il NoShave/Me, di cui Lavinia è fondatrice, la cui convinzione risiede nel fatto che "la vera emancipazione femminile sia iniziata con il diritto di voto, ma debba proseguire con il diritto a essere pelose". Diretto, divertito e divertente, di un’ironia amara, "Storia dei miei peli" solleva interrogativi che hanno a che fare con l’autonomia e l’autodeterminazione, il sacrificio e il compromesso. "Storia dei miei peli" sarà presentato a Lo Spazio giovedì 19 giugno alle 18.30. L’autrice dialoga con Matteo Moca.
linda meoni