
Gabriele Del Grande in due scatti di. Elisa C ldana
PISTOIA Liberi di muoversi. In pieno godimento di un diritto essenziale: vivere e porre fine a quella vergognosa strage che ogni giorno macchia le acque del Mediterraneo. Tutto è iniziato inseguendo il sogno di un mondo senza più divieti di viaggio. Che nel 2006 ha cominciato a diventare voce gridata, parola scritta, immagine filmata. Così Gabriele Del Grande (sabato, ore 19, teatro Bolognini), scrittore, giornalista e regista, ha iniziato a occuparsi di migrazioni, viaggiando, guardando coi propri occhi e infine restituendo. Coi reportage, i libri, un monologo ("Il secolo è mobile") e anche un film, "Io sto con la sposa", vera storia di un finto corteo matrimoniale progettato per far viaggiare di nascosto in Europa cinque amici in fuga dal conflitto. È sua una delle voci che arricchisce i "Dialoghi" 2025. Quali sono i presupposti per una solida convivenza tra popoli? "Non c’è pace senza giustizia. E la giustizia è la grande assente dei nostri tempi. Penso a Gaza: ventimila bambini uccisi dalle bombe di Israele. Un primo ministro, Netanyahu, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio. E noi che ci voltiamo dall’altra parte". Ogni strage di migranti è una strage, ogni sbarco una disperazione. Ma c’è uno di questi eventi che più di altri ha dato impulso al suo percorso d’inchiesta? "Ogni strage ci rende più indifferenti. Vale per i bimbi uccisi da Israele a Gaza come per quelli annegati nel Mediterraneo. Quanto abbiamo disumanizzato quella gente. Io al contrario mi ci sono sempre immedesimato. Diciamo che ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia sufficientemente povera per decidere fin da giovanissimo da che parte stare". Da vent’anni racconta le migrazioni: cos’è cambiato? "Politicamente tantissimo: abbiamo cancellato i visti con i Balcani, Est Europa, ex repubbliche sovietiche. Pensate all’Ucraina. Tre anni fa arrivarono quattro milioni di profughi in treno. In modo regolare, senza che l’Europa battesse ciglio. Al contrario, l’immigrazione da Africa, Asia e Caraibi continua a essere vietata per legge e in mare si muore ancora. Sottotraccia però il cambiamento è irreversibile. Un dato su tutti: per un emigrante che sbarca a Lampedusa altri dieci arrivano in aereo. In un anno fanno tre milioni di nuovi arrivi regolari nell’Ue contro 300mila senza visto. Anche in uno scenario a sbarchi zero da qui al 2050 arriveranno in Europa 15 milioni di africani in aereo. E altrettanti dal resto del mondo. Ci piaccia o no, la frontiera è già aperta". Legalizzare è l’unica strada possibile? "In Europa vive da generazioni una minoranza di 35 milioni di persone con background migratorio arrivate da Africa e Asia. Non se ne andranno. E in trent’anni ne arriveranno altrettante. La salvezza per un continente condannato all’inverno demografico. Ci mescoleremo sempre di più. Fino ad avere tutti un parente in Marocco, India o Nigeria e allora la frontiera cesserà di farci paura. Nel frattempo India e Cina una volta salite sul tetto del mondo pretenderanno la libertà di movimento per i propri cittadini e a seguire le nuove nazioni ricche dei Brics dai paesi arabi del Golfo al Sudest asiatico e ai nuovi hub dell’economia africana. La storia va in quella direzione. Ma il futuro fa paura. E per la politica è più facile inseguire il consenso difendendo con nostalgia l’idea di un’Europa bianca e cristiana che nella realtà non esiste più". Lampedusa 2050, cosa vede? E cosa scriveremo sui prossimi libri di storia? "Sono cautamente ottimista. Nel giro di un paio di generazioni il 40% di noi europei avrà almeno un antenato transitato da Lampedusa. E ne saremo fieri. Quel giorno a Lampedusa sorgerà un grande museo dell’immigrazione. E i soli barconi al largo saranno quelli delle scuole che nel giorno della memoria andranno a deporre in mare corone di fiori con su scritto ‘Mai più’". linda meoni