Martina Vacca
Cronaca

Panini di strada alle spezie per Robert Plant e i Negramaro assaggeranno il «peposo»

Tutti i segreti di Giovanni Menichini, un cuoco speciale per gli artisti

Giovanni Menichini Acerboni/FotoCastellani

Pistoia, 7 luglio 2014 - I MORCHEEBA? Quasi tutti vegani. Solo street food per Robert Plant e la sua band, una vasta selezione di hamburger e salsa piccante, ma per Giuliano Sangiorgi non si discute: i Negramaro prediligono un menù italiano, meglio se doppio, due primi e due secondi, magari da ripetere dopo il concerto.  È già al lavoro, e si capisce bene il perché, Giovanni Menichini, 34 anni, pistoiese, «ma — dice — in me scorre anche sangue bolognese, grazie a mia madre».  È lui lo chef che si occuperà, per tutta la durata del Blues, dei pasti degli artisti, delle band e di tutto lo staff di tecnici, operatori e organizzatori del Festival, con un una media di 80-100 coperti al giorno. Per soddisfare gusti così diversi ci vuole creatività e organizzazione, ma in cucina non sarà solo. Con lui ci saranno i ragazzi della cooperativa sociale «Don Chischiotte», guidata da Marcello Magrini, che da alcuni anni porta avanti la cucina del circolo di Capostrada, abbinando ai piatti della tradizione pistoiese, proposte della cucina regionale italiana ed eventi culturali, grazie alla Biblioteca da bar, ideata dalla editor Chiara Belliti.  «È IL SECONDO anno che affidiamo il servizio alla Cooperativa sociale Don Chischiotte — spiega il direttore del Festival, Giovanni Tafuro — e siamo molto soddisfatti. Negli anni passati avevamo convenzioni con i ristoranti, ma ora abbiamo allestito un servizio di alto livello, all’interno del cortile del Comune, dove saranno preparati i tavoli. Questo ci consente di personalizzare la ristorazione per gli artisti, che hanno esigenze e richieste diverse». «Abbiamo tavoli, tovaglie e posate buone — spiega Marcello Magrini — per garantire un’apparecchiatura di buon livello». Occuparsi della ristorazione degli artisti sarà un bell’impegno.  «Diciamo che io mi occuperò di tutti i pasti degli operatori del festival — spiega Giovanni Menichini —. Pranzo, cena, buffet freddo e dopo spettacolo. E per chi lo richiede anche spuntini. Io penso alla creazione dei menù e alla realizzazione dei piatti, ma in cucina avrò tanti ragazzi che si occuperanno della preparazione di base, soprattutto delle verdure. La cucina resta all’interno del circolo: è piccola, ma attrezzata e a me basta». Qual è la sua storia professionale? «Ho scelto di fare il cuoco per seguire una passione che mio padre ha sempre avuto e mi ha trasmesso: mettere a tavola gli amici, anche tanti, è un’arte di famiglia. Fino a 25 anni studiavo ingegneria, ma ho lasciato per mettermi ai fornelli. Ho lavorato a Pietrasanta, poi qui a Pistoia a Le Forri, ai Salaioli e ora continuo nell’agriturismo Il Vivaio di Ponte alla Pergola». Quali richieste ha avuto dagli artisti del festival? «Tante e tutte diverse. Per Robert Plant ho dovuto studiare: mi ha chiesto solo street food, panini e patatine. In particolare un panino speciale, si chiama Sloopy Joes: ha un ripieno a base di trito di carne e spezie, una bomba per i nostri palati. I Morcheeba hanno chiesto solo menù vegetariani e veghiani. Suzanne Vega ha chiesto un piatto unico completo. Per ogni sera non mancherà un buffet freddo». E i Negramaro? «Dal punto di vista quantitativo sono quelli più esigenti. Bisognerà mettere a sedere 40 persone a pranzo e a cena. Loro vogliono un menù italiano, con doppia scelta di primi e secondi e chiedono anche un dopo festival, una cena a fine concerto. Cercherò di accontentare tutti, ma mi piacerebbe far provare qualche piatto tipico della tradizione Toscana, come il peposo o la trippa alla fiorentina. Vediamo cosa riusciremo a fare». Bisognerà riuscire a soddisfare i gusti di palati abituati a cucine e tradizioni diverse, quanto alle materie prime saranno tutte di alta qualità, perché il fornitore sarà «Alce Nero», che porterà in tavola prodotti rigorosamente bio, tipici della dieta mediterranea. «Soprattutto orzo, farro, frumento, cous cous — spiega Chiara Marzaduri di Alce Nero — così potremo rendere sano anche il fast food. Perché è un pregiudizio che il bio è di nicchia. In realtà è il modo di mangiare più semplice che ci sia. Diciamo che il bio è pop, una cucina popolare».