Pistoia, morì dopo un lungo calvario: Asl condannata

Risarcito il nipote della donna: era la seconda moglie del nonno, ma è stata considerata dal giudice come "nonna di sangue"

Ospedale (Foto di repertorio)

Ospedale (Foto di repertorio)

Pistoia, 24 giugno 2022 - Contiene un aspetto inedito la recente sentenza del tribunale civile di Pistoia che ha condannato l’Asl a risarcire al nipote i danni parentali dopo la morte, dopo un lungo calvario, della nonna acquisita, in quanto seconda moglie del nonno, ma a tutti gli effetti, secondo quanto è emerso durante il processo "nonna di sangue".

La signora Liliana cadde in casa e si ruppe il femore. Era il 25 gennaio del 2016. Fu operata all’ospedale di Pistoia dove le fu riscontrato fin da subito un rischio tromboembolico a valori elevatissimi. La situazione fu adeguatamente affrontata. Poi Liliana, che aveva 92 anni, fu trasferita alla Fondazione Turati. Le fu prescritto un clistere. Ma durante il trattamento – come emerge dalla sentenza – le fu procurata una lesione minima. Ne derivò una infezione pelvica che costituiva un ulteriore fattore di rischio di trombosi venosa profonda. Il 13 febbraio del 2016, nonna Liliana viene nuovamente trasferita al San Jacopo dove l’indicazione fu quella di un intervento d’urgenza per sospetta perforazione intestinale, una strategia chirurgica che ha sollevato le perplessità del collegio peritale del giudice: " Non erano presenti elementi clinici e radiologici che inducessero a ritenere trattarsi di una perforazione in peritoneo libero, quindi da operare con urgenza immediata".

"Tenendo anche conto – come rileva il giudice Lucia Leoncini – dell’età della paziente, che era già stata operata, che aveva altre patologie ed era quindi a rischio elevato per interventi addominali che incidono in modo rilevante sull’apparato cardio-circolatorio e respiratorio".

Secondo i consulenti del giudice sarebbero bastati antibiotici e altre terapie adeguate, tenendosi pronti a un intervento in endoscopia se non ci fosse stato un miglioramento, e tenendo conto che il 60 per cento di queste perforazioni si risolvono senza alcun intervento chirurgico: "Non c’è dubbio – scrivono i consulenti – che l’iter chirurgico generatosi successivamente alla lesione rettale abbia definitivamente compromesso quella residua mobilità che la paziente aveva mantenuto fino a quel momento, aumentando, conseguentemente, il rischio tromboembolico della paziente". Nè vi è traccia, nella cartella clinica dell’ospedale, come evidenziano i periti, della "stratificazione del rischio tromboembolico".

La signora morì il 7 marzo 2016 per un "processo tromboembolico polmonare".

Emerge, scrive il giudice: "Una responsabilità non solo preponderante dell’Azienda sanitaria, ma anche tale da recidere il nesso causale con la precedente condotta tenuta dal personale della Turati, la cui condotta negligente non è sufficientemente provata". Da qui il parziale accoglimento della richiesta di risarcimento: respinta nei confronti della Turati (avvocato Francesca Colafigli), alla quale dovranno essere refuse le spese, così come alla Sara Assicurazioni (avvocato Fernando Paggetti), mentre invece l’Asl dovrà risarcire al nipote, che era rappresentato dagli avvocati Alberto Gualandi e Annalisa D’Amicis, il danno parentale di 23mila euro e di circa 4mila euro per altre spese sostenute.

L.A.