PIERO CECCATELLI
Cronaca

Mamma Ebe, elegantissima al bar: quel colloquio bruscamente interrotto

Cappello in visone, tailleur, sottogiacca in pizzo, Gigliola Giorgini incontrata a colazione, nel periodo in cui si curava con la chemioterapia. "Mi cercano in tanti, la gente mi vuole bene"

Mamma Ebe a colloquio con il cronista

Mamma Ebe a colloquio con il cronista

Pistoia, 9 agosto 2021 - Arrivai a Pistoia prima del solito, la mattina del 13 dicembre 2002. Avevo il tempo per fermarmi in quella pasticceria al Fagiolo, ingresso della città, di cui colleghi e amici cantavano le lodi. Colazione con calma, uno sguardo al giornale concorrente, del quale avevo sbirciato la locandina alla prima edicola disponibile. Entro e scorgo una signora che porta un cappello con bordo e fiore in visone, paltò in pelle e collo di volpe, tailleur di lana rossa e bottoni oro. Dallo scollo a v, spunta la sottogiacca in pizzo nero. Mise degna di una soirée, esteticamente in contrasto con la piccola folla di giacche a vento, bluse da lavoro, tute sportive, nella pasticceria popolata a quell'ora da impiegati e mamme che avevano appena accompagnato i figli a scuola. Impossibile non notarla. Qualcuno saluta la signora con un cenno del capo, un sorriso.

Incrocio il volto e un flash mi conduce agli archivi fotografici del giornale. Mamma Ebe. È lei, non c'è dubbio. Anche se è dura leggere in quella impeccabile signora, la battagliera quarantenne scarmigliata, chioma da Medusa, ritratta al primo processo o fra simboli sacri nella sua abitazione. Faccia da neorealismo. Un' Anna Magnani. Al suo fianco, in pasticceria, due signore, per niente vistose. Chiaramente, la stanno accompagnando.

Gigliola Giorgini, Mamma Ebe

Lo stupore si lascia sopraffare dal mestiere. Elaboro il piano. Anzitutto, pago la consumazione per uscire liberamente al suo seguito e non essere scambiato per il Tognazzi del "Rigatino' in Amici miei. Poi, chiamo il fotografo che abita più vicino. C'è Mamma Ebe in pasticceria. Vola. Appòstati. Vieni subito.

Mamma Ebe e le accompagnatrici si avviano alla porta. Mi affianco. Buongiorno, signora Giorgini, come sta? "Mi conosce?". Tutti, la conoscono. "Sono malata. Mi sto curando. Faccio la chemio". L'approccio è buono. Prendo coraggio. La cercano ancora in tanti, signora. "Sì, tanti, tanti. Tanta gente mi vuole bene". Per galanteria, afferro la maniglia e apro la porta. Usciamo, lei si ferma sulla piccola piazzola. Un attimo e il suono secco di tre, quattro scatti copre le parole. Il fotografo era a un metro. Ci ritrae.

Lei capisce, si schermisce,  inveisce.

Il fotografo prova a rimediare. "Ebe, ti ricordi di me? Ti ho fatto io le prime foto, le ho tutte".

Le signore del seguito la circondano e le fanno schermo fino alla Fiat Uno, con un uomo al volante in attesa. Mi sembrò di udire un rosario di improperi diretti a varie generazioni di antenati. Provo a rimediare. Signora, scusi, non sapevo. Sì, sì sono un giornalista, ma ero qui per caso, facevo colazione. Potremmo parlare con calma? Magari vengo da lei. Lo sportello si sta chiudendo, per disperazione lo afferro, la mano resta incastrata. Faccio in tempo a sfilarla, il motore è acceso, la Uno si allontana verso il semaforo (allora, c'era) della Vergine. Imboccherà, immagino, la strada per San Baronto. Urlo al fotografo che avrebbe dovuto mimetizzarsi, trasformarsi in un albero. Lui ribatte di non averlo avvertito che lei non sapeva. Che si conoscono, che non capisce perché non abbia voluto. Che potrebbe chiamarla e spiegare.

Mamma Ebe fra due agenti

Restano quei tre scatti di Gigliola Giorgini, elegantissima alle nove di mattina, piccole perle nell'archivio de La Nazione pieno di ritratti di Mamma Ebe circondata da gendarmi toscani e romagnoli, sbarre, aule di tribunali. E della sua villa sul San Baronto dove certi giorni c'erano più auto in sosta che davanti al ristorante.

Resta lei, che non sembra lei. La signora Giorgini, che non è Mamma Ebe. La suprema ingannatrice, secondo i tribunali, che per un attimo ero riuscito ad ingannare.