
"La magistratura, lo Stato, la mafia" Ecco la verità di Martelli su Falcone
Troppi equivoci e troppa polvere su cui da tempo era opportuno soffiare. E studiare, scartabellare, ricercare, affinché a quell’uomo dello Stato, il giudice simbolo della lotta alla mafia, fosse infine restituita almeno una parte di verità. "Perché Borsellino disse che fu la magistratura per prima a far morire Falcone? Ecco, nel mio cercare la spiegazione che ho raggiunto è questa: Borsellino si era reso conto nell’immediatezza che la decisione assunta allora dal Csm, con la mancata nomina di Falcone, dava un segnale chiaro alla mafia. All’indomani di quell’accadimento Falcone parlando con amici disse: ‘Mi avete inchiodato, mi avete consegnato a Cosa Nostra’". L’occasione per riavvolgere il nastro la offre la presenza alla libreria Lo Spazio di Claudio Martelli, già vicepresidente del Consiglio (1989-1992) ed ex Guardasigilli (1991-1993) nonché delfino di Craxi e amico del giudice ucciso dalla mafia, in città per presentare "Vita e persecuzione di Giovanni Falcone" (La Nave di Teseo, 2022). In dialogo con l’autore Giampaolo Pagliai e Massimo Baldi. A lui prima del salotto letterario abbiamo rivolto qualche domanda.
Perché oggi scrivere un libro e ripercorrere la storia del giudice Falcone?
"Ho cominciato a scrivere tanti anni fa. Non avevo mai smesso di occuparmi di una vicenda che mi ha totalmente coinvolto come l’esperienza di Giovanni Falcone al Ministero della Giustizia, dove l’ho voluto e dove ha dato il massimo delle sue capacità. L’ho voluto scrivere perché vedo tutti quelli che sono stati suoi nemici implacabili che lo hanno avvelenato ergersi ad allievi e eredi. Tutto questo mi indigna da tempo e ho voluto ristabilire la verità dei fatti".
Che uomo era Falcone?
"Probo, contraddistinto cioè non solo da una generica onestà ma da rettitudine. Era fermo e stabile oltre i venti dell’opinione o delle polemiche. Ha sempre seguito la sua via, mettere lo Stato in condizione di fare la guerra alla mafia e di vincerla. Osservava però la sproporzione enorme tra i loro mezzi e quelli dello Stato".
Una sproporzione che sembra perdurare...
"Questa è sempre stata la preoccupazione di Falcone, che si potesse riprodurre il gap tra la capacità offensiva della mafia e la capacità di risposta dello Stato. Temeva si configurasse una mafia universale, un’alleanza tra diverse mafie, più difficile da penetrare perché usava un linguaggio in codice, fatto di strumenti che non lasciano traccia. Lui che si era abituato a seguire movimenti di capitali per smascherare reti di connivenza attorno a Cosa Nostra, avvocati, professionisti, e banche, temeva molto questo rischio".
Come ha accolto la notizia della cattura di Messina Denaro?
"Non ho provato nessuna emozione particolare, se non soddisfazione. Ma la prima cosa che mi viene da chiedermi è: come ha fatto ad essere latitante per trent’anni, soprattutto restando là dove ha sempre abitato? Questo segnala che il retroterra mafioso c’è ancora. Falcone distingueva tra la mafia armata e mafiosità. Quest’ultima è un costume, un atteggiamento".
Qual è la sua posizione sul caso Cospito e il 41bis?
"Mi convince di più a tesi del procuratore nazionale antimafia Melillo secondo cui Cospito non deve stare al 41bis, ma in un reparto di alta sicurezza. Il terrorismo anarchico sembra essere una categoria speciale comunque non paragonabile allo stragismo di Cosa Nostra".
Con l’insediamento del centrodestra già nel 2017, Pistoia è stata in qualche modo il segnale che il vento politico stava cambiando. Come spiega la débacle del centrosinistra qui e in altre roccaforti rosse?
"Io penso due cose. La prima, che la sinistra senza popolo non ha molto avvenire; la seconda, che l’alternanza è una buona cosa in democrazia. Anche se a volte va a vantaggio degli avversari...".
linda meoni