REDAZIONE PISTOIA

Dal Glass al Bolognini: "Esiste una cucina che non serve a riempirsi la pancia"

La chef stellata Cristina Bowerman sarà sul palco di via del Presto domenica 26 maggio con la scrittrice e gourmet Camilla Baresani "Ci sono stati ristoranti che facevano pagare il biglietto come a teatro" .

Dal Glass al Bolognini: "Esiste una cucina che non serve a riempirsi la pancia"

Tovaglie bianche, astice e caviale sempre in carta, il cameriere che quasi morbosamente si affretta a riempire i calici vuoti. E poi il rituale dell’accoglienza, di fronte al cliente un desk e un salotto che poco lasciano intuire si tratti dell’ingresso di un ristorante. Per non parlare dell’azzardo vero: mischiare carne e pesce, usare formati di pasta non solo esclusivamente per i primi piatti. "Retaggi del passato", o meglio ‘tabù’ per la chef stellata Cristina Bowerman patron della Glass Hostaria di Roma, un consolidato impegno a tutto tondo in tutto ciò che è cucina – da quella praticata a quella insegnata, fino a quella che guarda all’etica e al sociale –, compreso quello che afferisce al capitolo ‘donne chef’.

Sarà una chiacchierata certamente stimolante quella che domenica 26 maggio (ore 12, teatro Bolognini) Bowerman condurrà con la scrittrice e gourmet Camilla Baresani nell’ambito dei "Dialoghi di Pistoia" a proposito di "Alta cucina e tabù".

È con la chef che familiarizziamo con l’oggetto di quell’incontro.

Dire che esiste un’"alta cucina" presuppone che ne esista una "bassa"?

"Credo che si debba parlare di cucina tradizionale e di cucina innovativa. Più in generale direi che esiste una cucina esperienziale da affrontare non con l’idea di riempirsi la pancia. Il ristorante Alinea di Chicago precorse i tempi: vendeva biglietti d’ingresso come se il locale fosse un teatro, il pasto uno spettacolo. Oggi accade che la cucina tradizionale sta sostituendo quella di casa, danneggiando il livello con menu a dieci euro. Da qui un effetto domino che porta a un abbassamento della qualità e delle skills dei cuochi. Lo dico sempre: non andate al ristorante tutti i giorni".

A leggere le pochissime recensioni negative al suo Glass, pensa mai che la sua cucina possa non essere compresa da tutti?

"Io credo solo che esistano esperienze sbagliate, non persone. Chef o cliente che sia. Apprezzo le critiche costruttive, non comprendo quelle di chi si aspetta ancora che l’acqua venga versata. In diciotto anni e mezzo che vesto questa casacca ho risposto una sola volta a un cliente per eccesso di scortesia e scorrettezza. Per il resto, leggo sempre le recensioni. È importante. Ma non rispondo mai".

Titolari di ristoranti che faticano a trovare dipendenti, potenziali dipendenti che lamentano condizioni di lavoro inaccettabili: la ragione sta nel mezzo?

"Mi sono sempre schierata contro il contratto nazionale. Tra i miei colleghi non c’è nessuno che paghi il minimo imposto tanto è misero. Il problema è la gestione delle risorse umane, aspetto questo che in Italia si è sviluppato tardi. Io questa pratica per via del mio retaggio americano l’ho iniziata da tempo. Il primo smart working assegnato? Nove anni fa. Nella mia squadra i rapporti durano una media di oltre dieci anni. Perché tratto tutti adeguatamente, non li penso schiavi. Dopo il covid ho scelto di chiudere Glass due giorni a settimana, abbiamo dei break extra dal lavoro a maggio e a dicembre, pago bene e in tempo. Altra storia è la scarsa appetibilità della carriera in sala. Prima il servizio era tutto, il cuoco nulla. Oggi il contrario".

Che storia racconta la sua cucina?

"Sono pugliese, prima avvocata poi grafica. Ho vissuto in diversi stati degli Usa, ho subito quindi influenze culturali variegate finite nei miei piatti. C’entra poi anche la mia curiosità. Il primo viaggio fu in Montenegro. Mio padre usciva, io rimanevo nella fattoria che ci ospitava. Guardavo come si facevano il formaggio, le priganice, tipiche frittelle. Dovrebbe esistere una sorta di servizio obbligatorio fuori dall’Italia.

"Mi innervosisce chi dice che la cucina italiana è la migliore del mondo, per me non esiste ‘meglio’ o ‘peggio’. Questo principio l’ho portato anche nella mia cucina. Ecco perché se mi chiedono qual è il mio piatto preferito io rispondo con uno in carta nel mio ristorante in Turchia: manti, una pasta chiusa tipica locale che ho riempito con pecora laziale, accompagnata da salsa tahina, yogurt, sesamo e olio speziato cinese. Questo è ciò che mi piace fare, unire le culture senza che si usi violenza verso la tradizione".

linda meoni