
Quando il pescatore professionista ha issato la rete lanciata al largo del Gombo, un punto di domanda ha solcato il volto sudato di quel lupo di mare: "Che pesce è mai questo? Mai visto prima". L’esemplare è così finito sul tavolo di un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa che lo identificato fra stupore e preoccupazione: "E’ un persico spigola ibrido". Un bestione di mezzo metro e poco meno di tre chili che a Marina di Pisa, proprio non doveva esserci.
Joachim Langeneck biologo marino del dipartimento di Biologia, che significato ha questo ritrovamento?
"Si tratta di un pesce alieno. Il persico spigola ibrido è una specie selezionata per avere pesci più robusti e a crescita più rapida: si tratta di un incrocio tra il Morone chrysops – una specie tipicamente di acqua dolce – e il Morone saxatilis, più legata ad ambienti salmastri".
E’, in qualche misura, un ritrovamento preoccupante?
"Non ne abbiamo idea, è questo il vero problema. Partiamo dall’unica certezza in nostro possesso: questo predatore non dovrebbe essere nelle nostre acque".
Ciò può avere un impatto sull’equilibrio della fauna?
"Forse. L’ecologia di questo esemplare è simile alla spigola ma la sua capacità di muoversi tra acque dolci e salate suggerisce cautela: potenzialmente può spostarsi fra un fiume all’altro passando per brevi tratti di mare. Ma c’è un altro problema...".
Quale?
"Attualmente l’effettivo rischio ambientale posto da fughe casuali di questa specie di interesse commerciale è incerto. Da un lato, infatti, si tratta di un predatore che può raggiungere dimensioni consistenti, dall’altra i persici spigola ibridi sono generalmente considerati poco fertili. Tuttavia, come ad esempio in Turchia, sono state riscontrate riproduzioni anche in natura".
Da dove è arrivato?
"Non mi risulta che vi sia una specie simile in Toscana o, comunque, gli individui della nostra zona sono molto più piccoli. Probabilmente, durante una delle piene di dicembre, è finito in un nostro fiume da un qualche laghetto di pesca sportiva chissà dove".
Quando è stato pescato?
"A fine dicembre. Il pesce è stato subito oggetto di uno studio pubblicato su ‘Mediterranean Marine Science’ a cui ho lavorato con Claudio Lardicci, professore di Ecologia del dipartimento di Scienze della Terra".
La vita nei nostri mari e nei nostri fiumi sta mutando?
"Direi di sì. Alcune specie che i nostri nonni e i nostri bisnonni mangiavano comunemente adesso sono quasi del tutto sparite. Questo non significa che siano estinte, ma oggi le colonie sono talmente poche che quando questi pesci vengono pescati non arrivano più ad essere commercializzati".
Ci può fare qualche esempio?
"La costardella, la papalina ma anche lo stesso cicerello che facevano parte della nostra dieta più povera e semplice ora sono rarefatti. Al contrario nuovi pesci si stanno affacciando".
Quali?
"Il barracuda del Mediterraneo, il pesce serra e la lampuga. Questi esemplari prima erano diffusi nel Mediterraneo meridionale. Ora, invece, si trovano comunemente nell’alto Tirreno tanto da divenire commercializzati".
Perché questi cambiamenti?
"Le cause sono molteplici. La pesca intensiva di decine di anni, le tecniche innovative che aumentano la quantità del pescato e il cambiamento climatico influiscono molto. Pensi...".
Che cosa?
"Le specie che aumentano arrivano tutte dal Sud del Mediterraneo. Le specie in regressione, invece, sono tutte quelle che vivono oggi nel Nord Atlantico. Le temperature medie, in costante aumento, rappresentano un grande fattore di cambiamento. In più c’è da considerare la variabile umana, come nel caso del nostro persico spigola ibrido arrivato da un laghetto sportivo. Una variabile che può essere pure indiretta".
Che cosa significa indiretta?
"Penso, ad esempio, al canale di Suez. La sua apertura ha portato nel Mediterraneo pesci che prima non vi abitavano".
Fra 10 anni quali pesci abiteranno i nostri mari?
"Sono troppi i fattori in gioco per stabilirlo con certezza. Ciò che notiamo scientificamente è come il regredire di alcuni organismi offra il fianco a una enorme espansione di altri. Non so come saranno le acque toscane fra 10 anni, molto dipenderà da come le tratteremo e da come gestiremo una serie di fattori: l’inquinamento chimico, l’inquinamento organico, la depurazione delle acque ad esempio. Questa gestione ambientale influisce direttamente sulle specie alloctone favorendole oppure distruggendole. Insomma, bisogna vedere come ‘tratteremo’ il nostro mare".
Come lo trattiamo oggi?
"La mia risposta è molto personale. Intesi?".
Accordato.
"Meglio rispetto a 10 anni fa. C’è molta più attenzione a che cosa finisce nel Mediterraneo, ma ciò che stiamo facendo non è sufficiente. Abbiamo tanti progetti virtuosi sulla rimozione della plastica, ma ancora troppi rifiuti finiscono nel nostro mare. Serve un cambio di passo collettivo".
Collettivo?
"Sì, di ciascuno di noi. Finché non prendiamo coscienza che ciò che gettiamo nel lavandino finisce nel fiume e quindi nel mare e poi viene mangiato dal pesce che giunge nel mio piatto, non ne usciremo. Il problema della pulizia delle acque deve toccare ciascuno di noi: è un problema personale non astratto. Serve un passo avanti significativo nella coscienza personale".