"Non farei mai una cosa del genere al Monte"

Giacomo Franceschi: "Il giorno del fermo sono entrato in confusione, poi ho ricordato la verità dopo un bel po’. Sono stato a casa"

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di Antonia Casini

PISA

"Non farei mai una cosa del genere". Giacomo Franceschi, l’ex volontario Gva di Calci, torna in aula per essere sentito, come imputato, nel processo per il rogo del Serra di settembre di due anni fa. Pubblica accusa e parti civili insistono sullo stesso punto. Perché il 18 dicembre, quando poi venne fermato, andò "in confusione" quando i carabinieri gli mostrarono la mappa Google nel suo telefono dei suoi spostamenti, "se sapeva di essere rimasto a casa?". Il riferimento è alla terza volta in cui fu sentito dai militari, quando, di fronte al maresciallo che gli fece vedere il percorso di quella sera, raccontò di essere salito sul monte e di aver allentato la tensione che provava, proprio perché nel panico, bruciando uno scrontrino e i pelucchi della sua tuta. E autoaccusandosi, di fatto, di un disastro ambientale. "Non ho mai confessato, ma purtroppo ho perso la lucidità e ho detto cose a caso", ripete il 39enne. "Eppure alcune le ha ricostruite correttamente, come l’orario di uscita dal lavoro, soffre di confusione selettiva?", insiste la pm Alemi. "E’ stato un periodo buio". "E quando le è tornata la memoria di quello che aveva fatto quella sera?". "Dopo un bel po’. Quando sono entrato in carcere mi hanno aumentato la cura, quindi non all’inizio". "E perché, allora, non lo ha riferito alla sua famiglia, quando ha fatto chiarezza?". "Perché ne volevo parlare e ne ho parlato al mio avvocato". Poi, si toccano tutti i temi salienti. Gli zampironi, per la Procura, la miccia dell’incendio. "Sì, sapevo dove stavano al Gva (antincendio boschivo Logli, ndr), li usavo per le zanzare". Il certificato per avere il porto d’armi per la caccia, "ha detto in quella occasione di avere disturbi psicopatologici?", "non ricordo, il dottore potrà dirlo"; "pur avendo questi disturbi portava il nipote in auto?", "facevo brevi tratti e non sono pericoloso". Poi le intercettazioni ambientali e quel "fai un po’ di scena" detto dalla sorella, durante i colloqui, proprio nella casa circondariale Don Bosco. "Era per non essere trasferito dal centro clinico, al giudiziario", affermano sia Franceschi che la stessa sorella. In un caso si sente anche lui battere sul tavolo. "Perché?" "Sospettavo che ci fossero spie ed essendo una novità non sapevo che cosa fosse giusto dire e che cosa no". "Perché dice di non voler fare l’interrogatorio dove potrebbero arrivare domande a trabocchetto. Che cosa intendeva?". "Non ero ancora pronto a rispondere in modo corretto". "Secondo questo ufficio stava programmando che cosa dire, ma si tratta di una nostra ricostruzione", ribatte Alemi. Le parti civili, l’avvocato Antonelli per il Comune di Buti e di Calci, e il collega Stefani per il Gva, battono sul vuoto di memoria e sui disturbi di Franceschi. La difesa, con il penalista Mario De Giorgio, chiarisce solo alcuni punti: "Nella sua vettura è stato trovato un rotolo di nastro adesivo, a che cosa le serviva?". "Ho fatto un lavoro di giardinaggio". "E le app sul meteo?", "le consultavo spesso". E’ la presidente del collegio Dani a chiedere di ripercorrere la serata del 24. "Che cosa ha fatto a casa dalle 19 in poi?". "Mi sono cambiato, ho fatto la doccia, ho acceso la tv e ho cenato". La sorella Federica testimonia: "Mai avuto dubbi sulla sua innocenza".