
"NOn fate i pidocchiosi e andate in libreria a comprallo: gosta 5 euri, boia deh!!". È l’invito garbato e cortese - nel senso di: usato nelle migliori corti - di Stefano Renzoni, autore dei "Detti pisani per persone ammodino", ora in libreria e online con Pacini Editore. Il professore, storico dell’arte, consulente della Fondazione Pisa e del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia, autore di libri d’arte e di mostre, sveste gli abiti dello storico dell’arte per quelli più scanzonati e umanissimi dello ‘scrittore da pandemia’. Esce così "Detti pisani per persone ammodino", di Pacini Editore. Una raccolta delle ‘perle’ che il professor Renzoni, durante il primo lockdown della primavera 2020, condivideva sulla pagina facebook ‘L’Immagine di Pisa’ (da lui fondata assieme ad altri esperti in campo artistico e culturale) per trovare e donare piccole parentesi di leggerezza e ingannare la noia. Divertenti, irriverenti, rigorosamente politicamente scorretti, i detti pisani analizzati e spiegati da Renzoni hanno tenuto compagnia o solleticato l’attesa e le richieste di tanta gente e ora sono raccolti in un libro di 70 pagine, con inediti e illustrazioni di un giovane grafico, Raffaele Silvestri. Con "Detti Pisani" si ride molto, ma si riflette anche. "Per me la pandemia ha significato noia: una noia mortale e immedicabile – spiega il ‘prof’-. Venni preso da una voglia compulsiva di leggerezza, di perdermi in cose vacue e leggere e frequentare i social scrivendo qualcosa per ridere. Iniziai a scrivere alcune bagatelle trovando nella mia città una virile trascuratezza, una disillusione dolcissima che ci permette di prenderci in giro, col solo scopo di ingannare la noia e di sorridere".
Lei è autore di studi e libri d’arte. Perché questa incursione ironica nell’"antropologia linguistica"?
"Premetto che questa raccolta non ha nessuna pretesa filologica, non sono un linguista. È un modo per sorridere. Da storico dell’arte, abituato ad osservare i quadri, in questo caso mi sono preso il lusso di osservare quelli umani, nello specifico i pisani. Ci sono comportamenti sociali a volte di bellezza straordinaria. La città è un teatro con vari tipi, che descrivo ironicamente nel libro".
Per esempio?
"Il pottaione, il furbo, la verginella, la mamma scafata, la panaia, come quella di borda panaia …".
Professore, tra i Detti ce n’è uno che si può dire sintesi della pisanità: Ber mi’ Romeo...
"Questo modo di dire rappresenta in modo sintetico e limpido la nostalgia dei tempi andati. Direi che assume una dimensione metafisica: quando Pisa conquistava i mari, sconfiggeva i Turchi, insomma, i bei tempi andati. Nel pisano c’è una profonda contraddizione: ritiene di avere un passepartout. Insomma, siamo stati talmente grandi che non ci potete rompere i c…. Oggi, quella voglia di riscatto spiega l’attaccamento incredibile della gente al Pisa. Affida in pratica alle fortune e alla visibilità della squadra la speranza di una serie A, una specie di riscatto sociale e quasi storico".
Lei differenzia i pisani dai pisanisti. In che senso?
"I pisanisti sono quelli che ritengono che Pisa sia caput mundi, universi, ‘galassiae’. Che ritengono sia sovrana in ogni posto e in ogni era. Io penso che alla base della condizione del pisano ci sia tutto sommato una condizione malinconica e disillusa. Malinconica perché l’attuale condizione della città non corrisponde a quella che vivevamo un tempo. Viviamo nell’idoleggiamento di un passato che non c’è più, e che fu glorioso. Il problema è che di fronte all’arido vero nasce una frizione che porta a disillusione e malinconia". Lei ironizza sulla "classe del pisano".
"Si racconta che Pietro Leopoldo, non so se sia vero, stesse volentieri a Pisa perché i pisani, dopo il primo giorno, non lo considerassero, quindi riacquistava quella libertà che a Firenze non aveva. Il pisano è così: dopo il primo giorno è disilluso, se ne frega, trova il difetto. Questo da una parte è una ‘roba da suocere’, ma è anche la grandezza del pisano. Non ci si può prendere troppo sul serio. I pisanisti idoleggiano il passato, la Meloria, con cui non hanno ancora fatto i conti e si autocompiangono prendendosi sul serio. L’altro pisano, quello che a me piace, si prende in giro e ironizza".
Eleonora Mancini