La Resistenza. I luoghi simbolo della lotta anti-fascista

Dalla Selleria Serani dove nasce il Cnl pisano ai fatti di sangue avvenuti soprattutto sui monti.

La Resistenza. I luoghi simbolo della lotta anti-fascista

La Resistenza. I luoghi simbolo della lotta anti-fascista

"Dopo la liberazione della città da parte delle truppe alleate, si insedia nuovamente al Palazzo municipale, la Giunta comunale, i cui componenti sono stati designanti dal Comitato Liberazione Nazionale di Pisa e la cui nomina è stata ratificata dal Comando Militare Alleato. Dopo oltre diciotto anni di amministrazione tirannica fascista il Comune torna nuovamente ad essere amministrato democraticamente da un consesso di cittadini". È il 5 settembre 1944 quando queste parole vengono scritte in una pagina ingiallita dal tempo e in cui viene ufficializzata la liberazione della città di Pisa, avvenuta il 2 settembre. La città documenta e festeggia la liberazione. Anche se non ci saranno applausi e piazze piene ad accogliere la formazione partigiana "Nevidio Casarosa" che scende dai monti quel sabato mattina. Pisa è infatti è deserta, sono a mala pena 3 mila i cittadini rimasti dopo i bombardamenti dell’estate del 1943. I pochi rimasti hanno trovato riparo nella cattedrale di piazza del Duomo, all’interno dell’Arcivescovado e nelle cantine dell’ospedale Santa Chiara.

Mentre gli sfollati a migliaia (più di 60 mila) si trovano a Calci, tra cui anche tanti livornesi. Tra i luoghi della resistenza pisana che vale la pena ricordare, la selleria Serani in via del Carmine, dove clandestinamente gli antifascisti si trovavano e dettero vita alla sezione del Cln di Pisa.

Ma anche i monti pisani protagonisti delle azioni di sabotaggio intraprese dai partigiani. Tra cui villa Borri, dove risiedeva il comando tedesco e che fu oggetto dell’unica significativa azione militare intrapresa dalla brigata pisana nei tre mesi in cui fu operativa. Li persero la vita due giovani partigiani, Paolo Barachini e Pirro Capocchi a cui sono state dedicate due strade di Asciano. Altro atto di sangue, fu invece il 10 agosto 1944, sul monte Pruno ai piedi del monte Serra, dove i tedeschi, guidati dai fascisti e repubblichini, nella notte di San Lorenzo sotto ad un violento temporale estivo tesero un agguato ai partigiani, uccidendo due prigionieri di guerra dell’Armata Rossa, uno russo e uno turkestano scappati ed arruolati poi nelle fila della formazione partigiana che contava all’epoca 185 combattenti sotto la guida dal comandante Ilio Cecchini.

EMDP