di Gabriele Masiero
PISA
Erano nove le sale cinematografiche cattoliche a Pisa, che arrivavano a 14 contando anche quelle delle frazioni periferiche. Più di sessanta quelle distribuite su tutto il territorio della diocesi pisana. Daniela Bernardini e Luigi Puccini nel libro "I cinema dei preti" (Ets, 15 euro), da poco approdato in libreria, ne raccontano la storia, ma soprattutto l’anima che per decenni hanno contribuito a determinare il costume della società pisana e nazionale. Un volume frutto di uno studio certosino, unico in Italia. "Quelle sale - spiega Puccini in un colloquio con La Nazione - ormai quasi tutte spente hanno rappresentato un pezzo di storia del costume. Erano luoghi di aggregazione, di intrattenimento, ma anche di pensiero politico. Perché lì, come nelle Case del Popolo, si faceva politica, eccome".
E’ un mondo che non esiste più.
"In realtà due sale sono ancora aperte, pur se date in gestione: il cinema Arno a Porta a Mare e il Lanteri alle Piagge. Ma certo quel mondo oggi non c’è. Ed è un peccato. Anzi, penso che andrebbe recuperato. Ora come allora questi luoghi possono essere agenzie formative per i giovani, pur se adeguati alla cultura e al costume dei tempi nostri. Il Comune o altri enti pubblici potrebbero rendersi disponibili a sostenere questi progetti fondati su contenuti d’essai per coinvolgere i giovani alimentando così la rinascita di luoghi aggregativi anche in località più periferiche. L’avvento del digitale permetterebbe una gestione più semplice di queste sale".
Il punto è proprio quello: ricostituire un microcosmo di passioni.
"Sì ed è quello che raccontiamo anche nel libro, rendendo noti aneddoti minuscoli che aiutano a capire un contesto più grande e una storia che ha accompagnato l’Italia tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Ottanta del secolo scorso".
Quali?
"A Pisa don Waldo Dolfi, chiuse il cinema Arena a Porta a Lucca per colpa dell’andamento del mercato di quegli anni. O meglio per non sottostare a determinate logiche. L’obbligo dei distributori delle pellicole che, insieme ai film scelti, volevano imporne altri. Avrebbero dovuto noleggiare ‘Giovannona coscia lunga’ e, di fronte a questo vincolo, don Dolfi decise di chiudere l’attività: ‘non vale la pena organizzare cineforum per proiettare sconcezze’. Ma ce ne sono anche altri: quando, agli albori del Sessantotto, gli operai della Saint Gobain protestavano contro i 382 licenziamenti bloccando il traffico sull’Aurelia e arrivò la celere, don Spartaco aprì le porte del cinema Arno offrendo riparo ai lavoratori: diventò il quartier generale delle assemblee. A Casciavola il cinema parrocchiale invece aprì davanti all’Arci proprio per far concorrenze ai giovani comunisti. Invece, al Lux don Guido Corallini adottò una gestione manageriale con una regola inappellabile: annotava date, orari, presenze e incassi di ogni proiezione, distribuiva anche una sintesi ciclostilata dello film ma vietava i dibattiti, per evitare che finissero in discussioni politiche".