
Tiziano Celoni, il 27enne originario di Viterbo
di Antonia Casini
Terza sentenza di condanna per la morte in caserma. La Corte d’appello di Firenze ha confermato per Augusto Simeoni e Alessio Fracassi, di Livorno, (tutelati dai legali Isabella Martini e Francesca Anedda) la pena di 8 mesi per omissione di soccorso, ridotta la provvisionale a 10mila euro per il padre e 10mila per la madre, era 20mila per ciascuno. Tiziano Celoni, il 27enne originario di Viterbo, parà in fermo permanente alla "Gamerra" di Pisa, fu trovato agonizzante il 10 novembre 2017. "Un sogno, non un ripiego", per lui fare il militare, avevano spiegato i suoi genitori, Tito e Fiorella.
Secondo l’accusa tre suoi ex commilitoni non aiutarono Tiziano quando stava male. Solo pochi giorni fa Fabio Tirrito (difeso dagli avvocati Francesca Baregi e Gabriella Cirillo), il più anziano e più alto in grado, accusato di omicidio colposo, è stato condannato a un anno e tre mesi (pena sospesa), 200mila euro di provvisionale per ciascuna parte civile.
Il giovane, quella notte di ormai 7 anni fa, sarebbe rimasto fuori con Tirrito il quale, intorno alle 7 del mattino, avrebbe chiamato Fracassi e Simeoni che lo aiutarono a portarlo dentro lasciandolo sulla branda. Poi se ne andarono. Prima delle 13.30 fu proprio Fracassi a trovare Celoni già gravissimo. Quindi la morte. "Ancora dovrà essere fatta chiarezza su altre circostanze e responsabilità. Sappiamo che Tiziano è deceduto all’interno di una caserma, dove si trova peraltro un importante Centro Sanitario. Abbiamo i vocali di nostro figlio e fino a tarda notte stava bene", hanno raccontato i genitori dopo la condanna di primo grado di Tirrito . "Siamo in attesa di capire cosa sia successo veramente e cosa sia accaduto all’interno della caserma, dalle 7,30 alle 13,30, dove Tiziano doveva espletare le sue attività di servizio sino alle 12,30. Permangono seri dubbi sul perché non siano intervenuti i medici del servizio sanitario posto all’interno della stessa", raccontano i genitori seguiti dai penalisti Max Giordano Marescalchi e dalla collega Muriel Petrucci. "Da mamma – aggiunge Fiorella – posso dire di avere “affidato” il nostro (unico) figlio all’Esercito Italiano (Mamma Esercito), un ragazzo brillante, in piena salute e con tanta voglia di vivere che ci è stato “riconsegnato” su una lastra di marmo, in una camera dell’obitorio".
"Ricorreremo sicuramente in Cassazione dopo aver letto le motivazioni – commenta uno dei legali difensori dei due ex commilitoni, l’avvocato Martini – Vogliamo andare fino in fondo a questa vicenda. Riteniamo che non sia corretto l’inquadramento giuridico".