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Pisa e gli altri mondi. "Dalla nostra città alla Cina per formare i caschi blu" – L’intervista

Il professor de Guttry ha tenuto un corso di formazione per le forze di polizia cinesi impegnate nelle missioni di peacekeeping dell'Onu, sottolineando l'importanza della cooperazione internazionale e il ruolo della Cina nel mantenimento della pace.

"Da Pisa alla Cina per formare i caschi blu"

Pisa, 10 luglio 2024 – Si è appena concluso a Lanfang, nei pressi di Pechino, un corso di formazione delle forze di polizia impegnate nelle operazioni delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace (il cosiddetto Peacekeeping). Il corso è stato tenuto da Andrea de Guttry, professore ordinario di Diritto Internazionale della Sant’Anna, che da oltre 10 anni si occupa di formazione per rafforzare conoscenze e competenze dei poliziotti cinesi, impegnati in diverse missioni per conto dell’Onu.

Professore, qual è stato il suo contributo a questo corso?

"Mi sono occupato del quadro giuridico dal momento in cui si verifica un evento qualsiasi in uno Stato che chiede all’Onu di inviare i caschi blu. Spiegando quali sono le componenti, il mandato dei poliziotti, le immunità, i privilegi fino ad arrivare alla chiusura di una missione".

Quindi anche gli aspetti legati ai loro obblighi.

"Assolutamente sì, devo anche spiegare loro gli obblighi nell’uso delle armi e nel rispetto dei diritti umani, anche se devo sottolinare che i cinesi sono l’unico stato dell’Onu che non ha mai avuto problemi con i propri peacekeeper. È questo dipende proprio dal loro elevatissimo numero".

Perché hanno un ventaglio più ampio di scelta?

"Esatto. La Cina può inviare i migliori esponenti per le missioni umanitarie e visto che come Paese hanno oltre un milione di forze di polizia, i circa 1.300 caschi blu che forniscono all’Onu sono presi dalle eccellenze, diminuendo tantissimo il rischio di incidenti. Devo però sottolineare che la Cina non è uno dei Paesi più presenti tra le missioni di pace, anche se negli anni stanno aumentando la presenza".

Come mai?

"Il peacekeeping ha molti rischi: in primis la vita delle forze di polizia, poi il fatto che le missioni sono a carico degli stati che contribuiscono. Per questo la Cina fino a 15 anni fa era poco interessata a prenderne parte. Oggi invece il Paese vuole farsi vedere nello scacchiere internazionale, soprattutto in ambiti legati alla pace. I cinesi hanno capito che il modo migliore per valorizzarsi è far vedere che contribuiscono alla sicurezza internazionale".

Lei infatti dice che ci può essere cooperazione tra Italia e Cina da questo punto di vista?

"Le peacekeeping operation dimostrano che c’è un interesse reciproco che può portare a molto. Visto che il dialogo politico occidentale con la Cina è ai minimi storici, si cercherà di cooperare in questioni ‘minori’ come le missioni Onu. Corsi come quelli che ho tenuto sono una porta per il dialogo".

Che ne sarebbe del dialogo in caso di tumulti a Taiwan?

"Ne ho parlato a lungo anche io con alcuni poliziotti durante il corso di formazione. La risposta è stata che la Cina non lo riterrebbe un divieto della relazione internazionale perché per loro si tratta dello stesso Stato. Come per noi Pisa o Roma. Ovviamente la comunità occidentale la penserebbe diversamente e si creerebbe una gravissima spaccatura tra noi e la Cina".

Mario Ferrari