
di Antonia Casini
Un evento "previsto, voluto e premeditato". La pm Flavia Alemi chiede 15 anni per Giacomo Franceschi, l’ex volontario dell’associazione dell’antincendio boschivo Paolo Logli. Per la Procura è lui ad aver distrutto 1148 ettari di vegetazione sul monte pisano, il 77% delle aree colpite in tutta la Toscana nel 2018. Niente attenuanti generiche per "la scaltrezza dell’imputato, l’intensità del dolo (massima) e la gravità dell’evento", fissa i punti il pubblico ministero nella sua lunghissima requisitoria (come scriviamo anche nelle pagine nazionali). Il 24 settembre - ricostruisce l’accusa in aula (è presente anche il procuratore capo Alessandro Crini) - l’assessore di Calci Sandroni aveva pubblicato un post in cui avvisava il piromane (c’erano stati altri episodi): ’stasera non farlo, altrimenti sarà devastante’, il senso del messaggio. Franceschi accettò la sfida".
La sostituta procuratrice affronta tutti i temi, in questa seconda giornata soffermandosi sullo stato psicologico dell’imputato. E riportando entrambe le perizie, quella di parte, del professor Pietrini, che smonta, e la sua con il professor Paterniti per il quale il 40enne di Calci è "lucido" tanto da avere "due storie" in contemporanea e da fare "un ragionamento sottile" in occasione della famosa confessione, il 18 dicembre del 2018, poi ritrattata affermando di "essere stato confuso perché preso dal panico". "Nessuno dei volontari lo ha mai visto assumere medicinali. Medicinali che sarebbero stati incompatibili con la sua vita. Lui era deputato alla guida dei mezzi antincendio. Se avesse assunto psicofarmaci avrebbe rischiato, in caso di test in strada, il ritiro della patente". Alemi insiste. "Il 23 ottobre 2017 ha ricevuto il rinnovo del porto d’armi, per il quale ha dichiarato di non assumere psicofarmaci e al quale sono allegati i certificati medici. Inoltre, non ha mai effettuato visite psicologiche specifiche". Il giorno del fermo, dunque, per il perito e gli inquirenti non ebbe "alcun attacco. I maggiori dei carabinieri (Pennisi e Bartolacci, ndr) gli mostrarono la schermata di Google Maps sul suo telefono in cui si vedeva il percorso fino al Serra. Ma non precisarono l’orario. Lui ora si giustifica dicendo. ‘Sapendo di esserci salito solo dopo e di essere rimasto a casa prima, non ho capito più nulla’. Ma - prosegue la pm – si contraddice da solo, fa un ragionamento logico incompatibile con l’attacco di panico, non aveva i sintomi. Semmai fu preso in castagna e confessò". E la conclusione di questo ragionamento: "Ci prende in giro tutti". Alemi che si sofferma anche sul quoziente intellettivo del 40enne. E che punta, nel finale, su tre elementi che lo inchioderebbero: i mozziconi di zampironi che i suoi ex colleghi dell’associazione ritrovarono il 6 gennaio 2019 nella sede. "Lo sapevano tutti che vengono usati come inneschi lenti per appiccare il fuoco. Lo sapeva anche l’imputato". Il secondo pezzo del puzzle è proprio il suo cellulare, quello che lo avrebbe tradito il giorno della confessione. Non solo per l’itinerario segnato, ma anche per i buchi neri che, secondo la Procura, potrebbero essere l’indizio che Franceschi in quei momenti si trovava sul Serra dove non sempre il segnale è buono. E poi la macchina. La Panda celeste della mamma, quella ripresa dalle telecamere (con all’interno un uomo che indossa una casacca arancione simile a quelle dei volontari) "in discesa in orario compatibile con il posizionamento" della miccia". "Un riscontro probatorio forte", viene definito. La richiesta è dura. "Lui che "parla con il fuoco e con il vento. Vive di queste cose. E’ ben compensato – afferma la sostituta – Ma che con il suo comportamento ha provocato una scia di ceneri per 200 chilometri che ha superato persino la Corsica". Il 6 febbraio toccherà all’avvocato Mario De Giorgio controbattere e dare forza alle parole del suo assistito: "Non farei mai una cosa del genere".