Athos, il mare, la città e il teatro "La pisanità non diventi pisanismo"

Il noto scrittore Bigongiali racconta il suo legame con il territorio e l’amicizia con Tabucchi: "Grande maestro"

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di Antonia Casini

PISA

Il mare come luogo del cuore e del viaggio. Un "mondo" ricostruito anche nel suo nuovo libro. Athos Bigongiali, 77 anni, scrittore pisano (di numerosi volumi e radiodrammi per la Rai-Radiotre programma Centolire), presidente di giurie letterarie nazionali e conosciuto fuori dai confini della città, racconta il suo ultimo lavoro "Chiamatemi Marconi. Storie di mare", (il coautore è Oreste Verrini, edizioni Ets), il legame con il territorio e con i suoi concittadini, anche i più famosi.

Athos, i marinai non dicono mai bugie?

"I marinai raccontano storie, da sempre, e crederci o non crederci è compito di chi ascolta. Come Antinoo, il re dei Feaci, quando Ulisse gli narra dei suoi incontri con i Lotofagi, Polifemo, Scilla e Cariddi, le Sirene, e ancora altri: ci avrà creduto? A noi lettori dell’Odissea poco importa. Quello che conta sono quelle meravigliose storie marinaresche...".

E il nostro mare lei lo frequenta?

"Sono cresciuto a Marina di Pisa, quel mare e quella vista del mare è dentro di me".

Che cosa apprezza di questa località?

"Marina è un incanto. E’ come un’isola, col mare davanti e dietro il Parco, è una striscia di terra che lotta per difendere se stessa dai pericoli dell’inquinamento e dalle false lusinghe della modernità. Il Porto va bene, le lottizzazioni no".

Ma abita all’interno.

"Alle Maggiole, per pochi metri, sono nel comune di San Giuliano. Mi trovo bene tra fresco, verde e poco rumore".

Mai sentita l’esigenza di trasferirsi a Pisa città?

"Ho abitato a Pisa per 60 anni, Pisa per me è tutto: la gioventù, la mia vita anche se mi sento cittadino del mondo".

Che cosa manca al nostro territorio dal punto di vista culturale?

"Tre anni di Covid hanno limitato molto tutti. Ma trovo eccessivo riflettersi troppo su Pisa, è giusto ma senza esagerare. Una cosa è la pisanità, come ricerca della nostra identità. Altra è il pisanismo, che è l’ ideologia retrograda, di una Pisa chiusa nei suoi confini, senza slanci ideali e senza prospettive. Lavoriamo perché Pisa cresca ma guardando al mondo che ci circonda".

Uno dei settori più vivi a Pisa?

"Il teatro. “Shine Pink Floyd Moon“ , lo spettacolo che si è tenuto a fine luglio in piazza Cavalieri, che mette insieme danza, musica e recitazione ideato da Micha van Hoecke, è stato molto bello e interessante. Alla Nunziatina, poi, si presentano tanti libri. Certo, si potrebbe fare di più, ma Pisa non è stata addormentata fino a ora".

Il mondo della cultura e dello spettacolo è tra quelli più colpiti dalla pandemia. Come ha vissuto questo periodo?

"Come tanti. Con prudenza ma senza esagerare. Stando più in casa di quanto sia abituato a fare. Mi piace uscire, vedere gente, andare nei bar. Viaggiare. Le nostre possibilità di riflettere sul mondo sono state ridotte".

Qualcuno, però, si è riscoperto.

"Se si sta sempre in tensione, quando si rallenta, scatta l’idea. Nuovi tentativi di scrivere, pensare, fare poesie. Forme artistiche diverse".

Come ricorda il suo esordio letterario, “Una città proletaria” (Sellerio, 1989), che ricostruisce la Pisa dei primi del Novecento, diventato poi uno spettacolo teatrale e un’opera lirica?

"Ha la pelle dura, è stato ripubblicato: è un primo figlio. Tante persone sono state stimolate nella ricerca delle proprie radici. Ha messo in moto studi sulla città sollecitando la riscoperta di Pisa. Pisa non è soltanto l’epopea della Repubblica Marinara. E’ importante studiarla, come fece il compianto professor Tangheroni col convegno su Pisa e il Mediterraneo, ma è altrettanto importante conoscere la Pisa dei secoli successivi, che non dominava più i mari ma dava lezioni a tutti di tolleranza, di apertura culturale e di lotta contro le ingiustizie sociali".

Alla città e alla sua storia recente ha dedicato anche quest’anno un libro.

"“Pisa una volta. Ritratti dal dopoguerra“, uscito a maggio con Pacini editore".

E del recente passato deI territorio fa parte il suo amico Antonio Tabucchi (autore, tra gli altri, del diffusissimo "Sostiene Pereira"), il maggior conoscitore e traduttore di Fernando Pessoa.

"Ci siamo conosciuti dopo la pubblicazione di “Citta proletaria”, nel ‘90, e frequentati assiduamente diventando amici fino ai primi anni del 2000 quando lui andò in pensione dall’università di Siena dove insegnava Lingua e letteratura portoghese. Era legato a questo territorio e alla sua casa a Vecchiano".

Eppure le iniziative in suo nome non sono molte.

"A Vecchiano sì. Pisa città dovrebbe fare qualcosa per lui, magari riunendo più persone: è stato uno scrittore tradotto in 40 lingue nel mondo".

Qualche aneddoto su di lui?

"Eravamo quasi coetanei, era molto gentile, faceva le sue sfuriate, ma aveva grande attenzione per i giovani che cominciavano a scrivere. Non gli ho mai visto fare un gesto di stizza. Leggeva, dava consigli. Tanti scrittori sono cresciuti con lui. Ora vedo molti che chiedono subito ‘come si fa a pubblicare?’. Ma prima si discute di letteratura, storia, solo dopo, eventualmente, di come si pubblica".