
Suor Chiara con Papa Francesco
Montecatini Terme, 30 dicembre 2022 - E' rimasta nei più cari ricordi di molte generazioni di montecatinesi e di abitanti della Valdinievole, come figura educativa e punto di riferimento spirituale. Oggi che ha assunto il ruolo di guida della comunità delle suore Figlie di Maria Ausiliatrice, tutti coloro che l'hanno conosciuta e amata le hanno voluto tributare messaggi di affetto attraverso il web, in attesa di poterla riabbracciare di persona. Suor Chiara Cazzuola, decima successora (si dice così) di Santa Maria Domenica Mazzarello, in collegamento da Roma, ha rilasciato una video intervista online alla quale sono seguiti tantissimi commenti di vicinanza, stima, affetto, sovente intrisi di nostalgia per il tempo in cui è stata professoressa all'istituto "Don Bosco" di via Garibaldi a Montecatini Terme. Suor Chiara è toscana, è nata a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, e a Montecatini Terme ha trascorso anni importanti della sua vita, come spiega lei stessa nel corso dell'intervista.
Suor Chiara, lei è stata eletta Madre Generale, al primo scrutinio, dalle suore radunate nel XXIV Capitolo generale a Roma e la sua elezione è stata salutata da un lunghissimo applauso. Qual è stato il suo primo pensiero in quel momento?
Un grande senso di timore, perché non me l'aspettavo, ho sentito che mi affidavano una missione molto più grande di me, ma, immediatamente, mi sono affidata al Signore e a Maria Ausiliatrice, che ho sempre sentito vicina e quindi ho accettato solo per questo: per fede. Ho accettato sapendo che, se il Signore chiama ad una missione, non lo fa mai senza dare la forza per rispondere e, con questa fiducia, ho detto di sì.
Quella delle Figlie di Maria Ausiliatrice è una realtà mondiale: qual è la vostra missione nel mondo?
La nostra missione è soprattutto legata all'educazione, alla promozione della donna, però è aperta a qualsiasi tipo di opera, nel campo educativo, si adatta ai vari contesti socio-culturali nel mondo: andiamo dalla scuola di ogni ordine e grado, alle case-famiglia, alle opere per i bambini di strada, agli orfanotrofi, ai centri per minori, ai centri di promozione della donna, alle facoltà accademiche. La nostra missione si adatta molto al contesto in cui opera. Siamo presenti in 97 Paesi, anche non cristiani: non c'è un annuncio esplicito, verbale, di Cristo, della evangelizzazione, ma c'è una presenza che annuncia lo stesso, anche senza parole. Siamo aperte all'accoglienza, senza fare discriminazioni e le nostre suore sono, a loro volta, accolte, abbiamo le porte aperte in tutti i Paesi. Nonostante le nostre fragilità, debolezze, perché non siamo super – women, abbiamo questa attenzione che fa parte del nostro carisma e questo è riconosciuto anche da chi non la pensa come noi.
E siete legate anche alla figura di don Giovanni Bosco.
Sì, per noi Don Bosco è fondatore ed ispiratore, anche se Madre Mazzarello aveva già iniziato, in un piccolo paese del Monferrato, Mornese, a fare un'opera di prevenzione per le ragazze, in un tempo, l'Ottocento, in cui le ragazze non andavano a scuola, al massimo imparavano a leggere nelle famiglie se c'era qualcuno che sapeva leggere, ma, a scrivere, assolutamente no. Madre Mazzarello cominciò a lavorare con le bambine, insegnando loro a cucire, a fare le sarte. Poi, incontrò Don Bosco che, a Torino, stava mettendo su la sua opera, era già avanti, stava lavorando con i ragazzi nelle opere preventive, aveva già fondato scuole e centri professionali. Mancava l'aspetto femminile e lo trovò in questo gruppo di ragazze, di cui faceva parte ed era leader spirituale, Madre Mazzarello, che condivideva il suo ideale di missione educativa. Da quel momento, cominciò il nostro percorso e, nel 2022, si terranno le celebrazioni del centocinquantesimo dalla nostra fondazione, anche se i festeggiamenti dovranno essere contenuti nelle manifestazioni esterne, a causa della pandemia, ma saranno molto sentiti e vissuti intensamente.
Facciamo un passo indietro e torniamo al Capitolo generale, nel cui contesto avete ricevuto una visita davvero speciale: quella di Papa Francesco. Ve lo aspettavate? O si è trattato di una sorpresa?
Alla fine di ogni Capitolo, chiediamo sempre udienza dal Papa. Questa volta, la risposta non era arrivata subito e la nostra Madre (la Madre emerita Yvonne Reungoat, ndr) era stata contattata personalmente e le era stato annunciato che Papa Francesco voleva fare una sorpresa: voleva venire qui lui, di persona, ma lei non avrebbe dovuto rivelarlo a nessuno. La Madre non ha quindi detto nulla a nessuno, fino a pochissimo tempo prima, perché è chiaro che dovevamo essere almeno in due o tre a gestire questa situazione straordinaria. E' stato divertente, perché, per non rovinare la sorpresa, la Madre, la sera prima, ha dovuto annunciare che il Papa non poteva riceverci, che si era verificato un imprevisto. Le suore si sono molto dispiaciute: pensiamo che, per qualcuna, quella poteva essere l'unica occasione nella vita di vedere il Papa da vicino, perché le capitolari provenivano da tutte le parti del mondo e da alcune parti in cui si viene in Italia una volta nella vita. Poi, però, c'erano alcuni indizi nella Casa: le più attente hanno cominciato a notare che i fiori in chiesa erano molto belli, più belli del giorno dell'elezione della Madre e hanno cominciato a chiedere il motivo. Noi giustificavamo dicendo che era la festa liturgica di San Giovanni Paolo II, per questo quei bei fiori bianchi e gialli, la sagrestana è polacca e tutto era in onore a lui. Tuttavia, altri ornamenti floreali, in varie parti della Casa, piccoli dettagli erano rivelatori e si era cominciato a suscitare un certo clima di «sospetto». Finché, la mattina della visita di Papa Francesco, verso le 9, è entrata nel nostro cortile la prima auto nera targata «Cv». Alla prima auto ne sono seguite altre e la voce che il Papa sarebbe arrivato da noi a cominciato a farsi pressante. Io, che sapevo, ho cercato di gestire la situazione nell'aula capitolare e ci siamo messe a pregare il Rosario. E, proprio mentre stavamo pregando, si è spalancata la porta ed è entrato Papa Francesco, con un bellissimo sorriso: non vi dico quello che è capitato in quel momento nella sala capitolare. L'entusiasmo è arrivato alle stelle, c'è stata un'esplosione di gioia. Seduto al tavolo, il Papa ci ha guardato sorridendo e ci ha detto: «Sono venuto a portarvi il videomessaggio». Avevamo, infatti, raccontato che il Pontefice, non potendo riceverci, ci avrebbe fatto avere un video messaggio. Papa Francesco è stato con noi circa due ore, come se non avesse niente altro da fare che stare con noi, con un atteggiamento paterno, gioioso. Le suore lo hanno accolto secondo le usanze dei vari Paesi: chi gli ha messo il manto addosso, chi le collane, secondo le espressioni dei diversi popoli. Abbiamo vissuto questo atteggiamento del Papa come una conferma di attenzione alla vita religiosa femminile, ma anche come un riconoscimento al nostro istituto. Ci ha esortato ad essere fedeli alle origini, intrepide, missionarie, coraggiose. Ha riconosciuto che dove, a volte, non c'è nessuno, nei luoghi più sperduti, noi ci siamo. Un'emozione ed una gioia indimenticabili. Ci sembrava di sognare.
Qual è oggi il ruolo della donna nella Chiesa?
Credo che la donna nella Chiesa debba continuare a portare il «genio femminile» di cui parlava Giovanni Paolo II, questa connotazione di maternità, generatività, questo servizio fatto con tenerezza, bontà, che può dare alla Chiesa quella carica spirituale, quella forza, che poi si ispira alla figura di Maria. Penso che noi non siamo chiamate tanto al sacerdozio, ma al servizio nella presenza, con la nostra specificità, perché siamo qualcosa di grande, di meraviglioso, di cui la Chiesa mi sembra che oggi più che mai abbia bisogno, ovvero di questo sguardo, di questa sensibilità femminile, che dà una carica di accoglienza, maternità, affettività. Questo aiuta la Chiesa ad incarnare l'annuncio in una relazione umana, che è quello che ci insegna il mistero del Natale: se Gesù ha voluto assumere la nostra carne attraverso una donna, penso che la nostra missione nella Chiesa sia ancora quella di trasmettere il messaggio di Cristo attraverso quello che noi siamo.
Torniamo alla sua storia personale. Lei è Toscana, è nata a Campiglia Marittima. Quando ha sentito sbocciare in sé la vocazione?
Ho cominciato a pensare a questa possibilità intorno agli 11 o 12 anni. Mi piacevano tanto le suore, perché erano sempre allegre. Il nostro era un piccolo oratorio, ma le suore erano il centro di tutto, erano un punto di riferimento per la comunità. Noi passavamo tantissimo tempo dalle suore, mentre le nostre mamme lavoravano nella campagna, alla raccolta delle olive, degli spinaci, dei pomodori. Trascorrevamo i pomeriggi imparando a ricamare, giocando, frequentando il catechismo. Mi piacevano le suore perché erano simpatiche. A poco a poco, qualcosa in me è maturato e, a sedici anni, ho chiesto di entrare: i miei genitori hanno capito che facevo sul serio, che non si trattava di una suggestione e mi hanno lasciato seguire questo cammino. A vent'anni, ho fatto la prima professione religiosa.
Nella sua storia personale c'è un capitolo legato a Montecatini Terme e all'istituto Don Bosco di via Garibaldi.
Un ricordo bellissimo. La prima esperienza della mia vita religiosa. Sono venuta a Montecatini dove ho studiato in classe con le ragazze, per tre anni, fino ad ottenere il titolo dell'istituto magistrale. Poi, ho studiato Lettere a Roma e sono tornata a Montecatini ad insegnare. I miei studenti mi hanno dato grandi soddisfazioni e ho vissuto un cammino di maturazione vocazionale, perché legata alla missione educativa di noi Figlie di Maria Ausiliatrice. Sono stati anni bellissimi e porto nel cuore tutti gli allievi, i docenti, i collaboratori dell'istituto Don Bosco, la città. La gioia più grande per me è quando le ex allieve mi scrivono: «Ci hai insegnato ad essere donne. Siamo diventate le donne che siamo grazie al cammino fatto con te». Porto tutti nel mio cuore, faranno parte della mia vita per sempre.
Stiamo vivendo un momento complesso, difficile, segnato dalla pandemia. Il suo messaggio per il nuovo anno.
Il messaggio che voglio dare si collega alle parole di Papa Francesco di non lasciarsi rubare la speranza. Lo dico ai ragazzi giovani, ma anche agli adulti, penso a tutti coloro che hanno perso il lavoro, magari tra i cinquanta ed i sessanta anni, famiglie ed aziende in difficoltà a causa della pandemia. Per i Paesi poveri le ripercussioni sono persino maggiori. Pertanto, il primo messaggio è quello di non perdere la speranza, di credere che un futuro ci sarà, anche se, a volte, non lo vediamo perché la nebbia e le tenebre divengono un muro che non ci consente di vedere al di là. Il messaggio, quindi, è quello della speranza e anche della fede. Le risposte ai problemi fondamentali non ce le sta dando neppure la tecnologia che pure è così avanzata ed importante. Abbiamo bisogno di ritrovare la fede, la capacità di credere, di affidarsi alle mani di Dio, di guardare oltre, perché la vita guardata soltanto in dimensione orizzontale sembra, a tratti, non farci intravedere possibilità. E per tutti gli allievi ed ex allievi, specialmente per chi, attualmente, si sentisse in difficoltà, voglio ricordare le parole di Don Bosco: "Quando un giovane entra in una Casa salesiana, la Madonna lo prende sotto il suo manto e non lo lascia più".