
Paolo Canessa, pm all’epoca del processo per l’omicidio di Gianluca Pucci (nel riquadro)
Buggiano, 18 gennaio 2024 - Derubato, ucciso e poi, come se non bastasse, buttato in una buca nel terreno. Si chiamava Gianluca Pucci, era di Borgo a Buggiano e aveva solo 22 anni. Oggi ricorrono 40 anni esatti da quel terribile omicidio del 18 gennaio 1984, mentre Piero, il babbo di Gianluca, è venuto a mancare pochi mesi fa, nel dolore e nel timore di incontrare per strada gli assassini di suo figlio, ormai liberi da decenni e con una loro vita.
Furono proprio babbo Piero e mamma Carla a tenere viva l’attenzione sul caso della sparizione del loro amato figliolo, fino al ritrovamento del corpo e anche dopo, quando si rivolsero al nostro giornale per ricordare Gianluca ed esprimere la loro amarezza sulla conversione delle pene da ergastolo a pochi anni di carcere per i suoi assassini: i gioiellieri Franco Scatizzi e Andrea Nistri furono condannati all’ergastolo, poi ridotto a 30 anni nel ‘95. Danilo Nannini, "pentito" dopo un periodo di libertà vigilata, scontò 11 anni di pena. Pochi anni a Giovanni Esposito, che ricettò l’oro, pur sapendolo macchiato di sangue, mentre Danilo Borsi, scappato in Francia, lasciò 2 lettere in cui si diceva estraneo all’omicidio prima di essere trovato impiccato in un carcere vicino Parigi.
Gianluca era un giovane portavalori. Serissimo, fidanzato, pensava al matrimonio. I genitori dicevano sempre che lui stava molto attento a non frequentare luoghi isolati. Fu colto nella trappola da persone che conosceva e che idearono un piano assurdo per derubarlo dei 150 milioni di preziosi di cui lui faceva il rappresentante. Inscenarono addirittura la fuga di Gianluca, portando la sua auto all’aeroporto di Pisa e dandole fuoco. Lo uccisero con 4 colpi di pistola alle spalle e si liberarono del corpo seppellendolo in una buca profonda un metro e mezzo di una villetta in collina a Marliana.
Nel corso degli interrogatori uno degli indagati crollò e ammise che Gianluca era stato ucciso "perché era la cosa più semplice", il giorno stesso della scomparsa. "Durante l’anno in cui fu portato avanti il processo – raccontarono Piero e Carla Pucci – continuavano a chiederci il perdono, per avere uno sconto di pena". Era l’epoca in cui nella sonnacchiosa periferia di provincia un omicidio era una situazione oltre l’eccezionalità e in cui nelle redazioni dei giornali non c’erano ancora i computer e i cellulari, i cronisti andavano sul luogo, comunicavano attraverso i telefoni a gettoni. Erano i tempi del mostro di Firenze e del pubblico ministero Paolo Canessa che non officiò solo il processo al Pacciani, ma anche quello ai 4 aguzzini di Gianluca Pucci, oggi tutti con una loro vita.