La memoria storica 102 anni di Giovannino. I vividi ricordi di guerra dell’ex carabiniere

Iacopini è un’icona per l’Arma: ha lavorato anche alla Municipale "Vi racconto la presa di Roma da parte dei soldati nazisti". Fu imprigionato nei campi di lavoro tedeschi per quasi due anni.

La memoria storica 102 anni di Giovannino. I vividi ricordi di guerra dell’ex carabiniere

La memoria storica 102 anni di Giovannino. I vividi ricordi di guerra dell’ex carabiniere

Ha visto morire il capitano Orlando De Tommaso durante l’eroico tentativo di respingere i soldati tedeschi sul ponte della Magliana, è stato fatto prigioniero e dopo quasi due anni di stenti è riuscito a tornare a casa. Il carabiniere Giovannino Iacopini compie 102 anni il prossimo 27 marzo e i colleghi si preparano a festeggiarlo nella sede dell’associazione intitolata all’Arma, negli spazi dell’ex mercato coperto. Una vita piena e ben vissuta quella di questo brillante anziano, giunto in età avanzata con grande lucidità e spirito. Dopo l’esperienza con i carabinieri, Giovannino è stato 27 anni nella polizia municipale di Montecatini e, una volta andato in pensione, ha svolto un’importante attività di volontariato alla Misericordia di Pieve a Nievole. Fino a qualche anno fa, andava a trascorrere la domenica mattina al Tettuccio, un luogo che ha ancora un posto speciale nel suo cuore. Ogni mattina, come da consolidata tradizione, legge una copia della "Nazione" per tenersi informato. Un personaggio adorato dai figli e dai familiari, che riceve frequenti visite da parte degli amici dell’Arma, sempre accolti con grande simpatia.

Giovannino, ci può raccontare i fatti legati alla presa di Roma a cui ha assistito?

"Con l’armistizio dell’8 settembre, il paese era precipitato nel caos. Io mi ero arruolato nei carabinieri nel 1941 e allora ero nella capitale. Gli unici rimasti a presidiare il territorio e a svolgere i servizi previsti furono gli uomini dell’Arma. Ci furono scene incredibili di persone in fuga verso il Sud. Qualcuno trovò la morte persino cadendo dai treni, dove non c’era più spazio".

All’annuncio dell’accordo con gli anglo-americani, si presentarono i tedeschi…

"La fuga del re, subito dopo l’armistizio, fece precipitare la situazione. I carabinieri rimasero al loro posto e si opposero all’ingresso dei soldati tedeschi. Eravamo male armati e inferiori di numeri, ma era nostro dovere impedire che entrassero armati. Purtroppo, il capitano De Tommaso morì durante gli scontri. Le sue ultime parole furono: ’Viva l’Italia’".

Cosa accadde dopo?

"Ritornammo nelle nostre caserme e, per alcune settimane, continuammo a svolgere i nostri servizi in modo normale. Il 10 ottobre stavo svolgendo il mio turno di guardia al milite ignoto, quando mi dissero di tornare in caserma, perché la mattina dopo ci sarebbe stata una riunione molto importante. Dovevo presentarmi disarmato. Era una trappola: eravamo stati venduti ai tedeschi che ci deportarono in un campo di lavoro in Austria".

Come fu l’esperienza della prigionia?

"Per arrivare a Kapfemberg, luogo della nostra detenzione, fummo costretti ad affrontare un viaggio infernale, in piedi per ore e ore sugli autocarri. Nel campo di lavoro eravamo costretti a fare turni di 12 ore al giorno, per la produzione di lastre di acciaio destinate si carrarmati. Ricevevamo non più di 100 grammi di pane al giorno e all’ora di pranzo arrivava un pentolone di acqua bollita dove galleggiavano sette-otto patate. Un vero incubo".

Alla fine arrivò la libertà...

"Nell’aprile del 1945 ci portarono al passo del Tarvisio e lì ci lasciarono liberi. Avevano paura che potessimo compiere atti di ritorsione nei confronti dei villaggi vicini o andare a denunciare quello che avevamo subito. Io volevo solo rivedere i miei famigliari, non avevo più potuto fargli sapere nulla di me. A piedi o con passaggi a bordo di mezzo di fortuna riuscii ad arrivare a casa. L’incubo era finito!"

Daniele Bernardini