"Calzaturiero, tutto paralizzato. E c'è una beffa per chi lavora"

Bartoli, vice presidente nazionale di Assocalzaturifici: "Bloccati dall'emergenza. E chi si è riconvertito alle mascherine non è ancora autorizzato a venderle"

Federico Bartoli, coordinatore gruppo cuoio e calzature di Confindustria Toscana Nord

Federico Bartoli, coordinatore gruppo cuoio e calzature di Confindustria Toscana Nord

Monsummano Terme, 15 aprile 2020 - Oltre al lockdown, anche la beffa della burocrazia. Così molte aziende che potrebbero ancora lavorare un po' restano al palo. A fare il punto sulla situazione che il settore calzaturiero sta vivendo, dopo una poco entusiasmante ultima edizione del Micam di pochi mesi fa, è il coordinatore del gruppo cuoio e calzature di Confindustria Toscana Nord e il vice presidente nazionale di Assocalzaturifici Federico Bartoli.

Com'è al momento la situazione nel distretto calzaturiero?

«Il blocco è totale. C'è molta preoccupazione dettata anche dal fatto che le aziende del nostro settore sono tipicamente aziende medio piccole che non possono avere la forza di resistere a blocchi produttivi prolungati nel tempo. Questa cura rischia di uccidere il paziente». C'è qualcuno che è ancora in attività? «No, salvo qualche caso isolato di aziende che si sono riconvertite alla produzione di mascherine. Ma anche qui oltre al danno potrebbe esserci la beffa. Alcune aziende stanno aspettando da settimane l'autorizzazione a commercializzare la merce pronta in magazzino. Ancora questa maledetta burocrazia che in questi momenti diventa particolarmente insopportabile» Quante aziende calzaturiere non riapriranno nella zona? «Dipende tutto da quando potremo riprendere le lavorazioni. Le aziende maggiori sono già pronte nel rispetto delle norme ad oggi in essere. Bisognerà capire che tipo di novità introdurranno le nuove disposizioni. Siamo in attesa senza poter far niente, se non evidenziare a gran voce il rischio dei continui rinvii: Confindustria Toscana Nord non per nulla ha esposto alle finestre e bandiere a mezz'asta, per sottolineare il rischio dell'intera industria: il calzaturiero, in provincia, è appunto fra i settori più fermi». Come ricadrà sull'indotto la non riapertura? «L’impatto di un mese e mezzo di chiusura non lo vedremo a maggio, ma lo sentiremo sicuramente molto forte nella seconda metà dell'anno. Se non potremo ripartire subito, è concreto il rischio di ricadute su chiusure aziendali e perdita di posti di lavoro: ma lo sforzo complessivo è quello della tenuta dell'intero distretto» Si dice che possa slittare il pagamento della cassa integrazione, quante famiglie resteranno in difficoltà? «Mi auguro di no, sarebbe un disastro per le nostre persone. La retribuzione è già decurtata, e noi, da imprenditori, comprendiamo la situazione e faremo di tutto per non disperdere la capacità lavorativa delle nostre maestranze: chi ci governa deve capire, tuttavia,  che esiste un punto di tenuta oltre il quale è difficile andare». Ci sono strategie per ripartire quando sarà il momento? «Sicuramente dovremmo pensare a cambiare profondamente le nostre abitudini e le nostre organizzazioni. Dovremo ripartire da un foglio bianco senza pensare a quello c'era, ma a quello che decideremo che ci sia. Le maggiori industrie si stanno già organizzando, e un ruolo importante lo avranno le parti sociali con le quali condividere le nuove modalità di lavoro. Non sarà compito facile per le aziende di piccole dimensioni» Nell'ipotesi di dover ripartire con nuovi standard di protezione (distanziamento sociale, presidi di protezione come guanti e mascherine) quanto inciderà sul modo di produrre? «Ogni cambiamento crea disagi all'inizio, ma questo serve a tutelare la salute dei lavoratori e quindi mi aspetto la collaborazione da parte di tutti. Sicuramente ci sarà un impatto su costi ed efficienza. Capire come far rimanere le nostre aziende competitive sarà una parte della sfida» Quali opportunità il settore calzaturiero potrebbe avere, con una buona strategia per il rientro del lavoro? «Possiamo dire che chi riuscirà a superare questa crisi rafforzerà sicuramente la propria posizione di mercato. Il settore comunque ne uscirà profondamente trasformato. Potremmo anche assistere all'ingresso nel settore di fondi di investimento, che si sono già affacciati in tempi non sospetti, richiamati dalla qualità della nostra produzione e della maestria degli addetti; non li dobbiamo temere, potrebbero essere un'occasione di crescita per l'intero comparto» Ci saranno aziende che delocalizzeranno all'estero la produzione di scarpe, esportando dunque il know-how fuori dall'Italia? «Solo se tarderemo a ripartire e se non ci saranno regole chiare di condotta senza troppa burocrazia. La sfida deve essere quella di mettere in campo cose semplici, realizzabili, dobbiamo essere pragmatici». Cosa chiedete al governo per aiutare il settore a ripartire? «Riaprire subito i reparti aziendali che producono i campionari a seguire la produzione. Senza campionari non vendiamo se non vendiamo non produciamo. I lavoratori si tutelano garantendo loro un posto di lavoro non i voucher. Le aziende si sostengono soprattutto consentendogli di lavorare senza troppa burocrazia che non tutela nessuno». Arianna Fisicaro