
La festa per l’inaugurazione del nuovo spazio polivalente in centro a Villafranca
Arrivano con quaderno e penne. Si siedono e ascoltano le lezioni, per imparare l’italiano. Dove? In uno spazio culturale, a Villafranca, che servirà a farli conoscere e a impegnarli in laboratori artistici, musicali e di recitazione. I ragazzi dei Cas, Centri di accoglienza straordinaria di Villafranca, Aulla, Pontremoli, Groppoli, Pallerone da qualche giorno hanno un nuovo punto in cui ritrovarsi, nel centro storico di Villafranca, dove è stato inaugurato un centro polivalente dedicato a loro e agli operatori. Serviva, così potranno sentirsi partecipi della comunità e soprattutto farsi conoscere. "Nella nostra provincia - racconta Debora D’Orsi, responsabile della Dea, che si occupa di immigrazione e garantisce servizi di prima accoglienza ai cittadini stranieri - seguiamo circa 200 stranieri, in Lunigiana ce ne sono 160, in vari comuni. Tanti gli stati di provenienza come il Pakistan, Bangladesh, Mali, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Tunisia, Egitto, non sono solo uomini, ci sono donne o intere famiglie. Hanno fatto il tremendo viaggio della speranza per trovare futuro migliore, fuggono da guerre o persecuzioni, portano sulla pelle le cicatrici delle torture subite. Lavoriamo a stretto contatto con la Prefettura che segue il loro iter, cerchiamo di integrarli nel mondo lavorativo, educarli a un nuovo modo di vivere che segue le nostre usanze, se la commissione ritiene validi i motivi del loro ingresso in Italia. Utilizzeremo il nuovo spazio di Villafranca tutti i giorni, per lezioni, attività, corsi, proiezioni, finché non impareranno bene la lingua e potranno integrarsi al meglio". In Lunigiana vengono seguiti da vari operatori, ci sono Alberto, Carolina, Laura, Alessandro, Celeste, Ombretta, Gianna, Diana, Abdoullah, Cristina. "Da Milano mi sono trasferita in Lunigiana - racconta quest’ultima - il nostro obiettivo, col centro, è dar loro la possibilità di esprimere le proprie culture, con la musica, il disegno, l’arte in generale, per non dimenticare i Paesi che hanno dovuto abbandonare. Sarà uno spazio di espressione, condivisione con noi italiani, per farsi conoscere nel tessuto sociale della comunità". Secondo gli operatori hanno un mondo da tirare fuori, ma non è un percorso semplice. "I ragazzi che arrivano dal Bangladesh raccontano le torture subite in Libia - racconta - mostrano le cicatrici sul corpo. Ci sono soprattutto musulmani, coi pochi cristiani riescono ad andare d’accordo. Diamo loro dei compiti, come occuparsi di casa e cucina, si organizzano in modo autonomo coi turni, ma li seguiamo in ogni cosa, dalle visite mediche, ai colloqui di lavoro, allo sport. Sono tutti molto giovani, hanno da poco superato i vent’anni, agli africani piace molto il calcio, mentre gli indiani preferiscono il cricket, che è lo sport più praticano nel loro Paese di origine. Ciascuno ha una sua storia, accennano al passato, ma spesso preferiscono dimenticare. Noi siamo sempre con loro, dobbiamo occuparci di tutto e tutelarli. Sono contenti di essere in Italia, si stanno creando amicizie e sono molto rispettosi".
Monica Leoncini