
Tavolo del marmo ‘tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare’. Il percorso sulla tracciabilità e la lavorazione di almeno il cinquanta per cento del marmo in loco è ancora in fase interlocutoria. Dopo l’incontro di giovedì tra amministrazione, associazione industriali e sindacati la situazione è ancora tutta da scrivere. Al momento non esiste un sistema uguale per tutti in grado di tracciare il materiale azienda per azienda, e neppure uno in grado di inviare giornalmente i dati all’amministrazione comunale, come stabilito dalla legge regionale numero 35. Per crearlo servirà ancora del tempo.
"Complessivamente sono state 57 le convenzioni siglate tra il Comune di Carrara e le imprese escavatrici in questi mesi, 17 invece le certificazioni Emas registrate – commenta la sindaca Serena Arrighi –. Solo pochi mesi fa attorno alla possibilità che oggi saremmo stati in questa situazione circolava grande scetticismo e in tanti continuavano a chiederci proroghe e rinvii, ma noi a chi avrebbe voluto scorciatoie abbiamo risposto lavorando con serietà e impegno e siamo arrivati alla meta. Ora ci aspettano nuove sfide da vincere utilizzando lo stesso metodo seguito fino ad ora che si basa su condivisione e confronto con imprese, associazioni, sindacati e tutti gli attori coinvolti, ma anche su rigore e rispetto delle regole. È con questo approccio che stiamo lavorando anche sul modello di tracciabilità, e alcune soluzioni sono già lo studio. Parallelamente è fermo interesse di questa amministrazione dare vita a una certificazione di Indicazione geografica non alimentare, sulla base del regolamento che è appena stato approvato dal Parlamento europeo, a cui tutte le imprese potranno aderire su base volontaria". Un marchio del marmo di Carrara che è già stato però depositato a livello europeo dall’associazione nazionale ‘Le donne del marmo’.
"Si sta lavorando alla messa a punto di un software per la tracciabilità ma serviranno almeno sei mesi – spiega Fabrizio Santucci responsabile del settore lapideo di Confindustria –. Parlo delle cave perché al piano esiste già. Si entra sotto regime di gestione, ma un software del genere non nasce dal niente. La firma delle convenzioni è stata un cappio al collo, andavano firmate entro il 31 ottobre, ma è necessaria una franchigia per capire come potrebbe essere per le piccole cave. E poi c’è il discorso delle piccole cave che non hanno aziende al piano e per lavorare il 50% in loco dovranno sostenere costi altissimi. C’è anche da dire che dal 2015 le cose sono cambiate. A quel tempo il marmo andava alla grande, oggi il mercato è in stallo – conclude Santucci –, c’è stata una pandemia e ci sono due guerre, mancano gli spazi per lavorare quel 50% in loco e non ci sono macchinari in grado di farlo. È tutto fattibile ma quando la politica entra nelle aziende non fa il bene delle stesse, che devono essere libere sul mercato".
Per il segretario generale della Cgil Nicola Del Vecchio "il tempo delle scuse è finito". "Sono loro che hanno firmato la convenzione – prosegue Del Vecchio –, e le aziende si sono impegnate a lavorare in loco almeno il 50%. Ora l’obbligo si deve rispettare. Le aziende dal 2015 hanno avuto tutto il tempo per adeguarsi. Questo modello non è più sostenibile".
Alessandra Poggi