REDAZIONE MASSA CARRARA

Lupi nei paesi Storie di lotte e convivenza

In Lunigiana chi uccideva i predatori veniva pagato. I risvolti di un antico mestiere ormai scomparso

Si parla spesso, negli ultimi anni, dei danni causati agli animali domestici da lupi o predatori in varie parti della Lunigiana e non solo. Ma da secoli l’Appennino Tosco-Emiliano ospita grandi carnivori predatori, soprattutto il lupo, un tempo anche l’orso, poi estinto, così come si evince leggendo alcune pagine degli “Statuti di Fivizzano” dove erano riportati i compensi che venivano elargiti dalle autorità del tempo a chi uccideva uno di questi animali. "14 Maggio 1678: orsa uccisa nelle Alpi di Sassalbo lire 60; 25 dicembre 1784: lire 56 per un lupo ucciso a Sassalbo; 25 Gennaio 1785: lire 56 per un lupo a Sassalbo". All’epoca, tutti i villaggi di montagna vivevano di pastorizia e i “lupari” venivano assoldati dagli amministratori dell’epoca per eliminare i famelici carnivori che insidiavano pecore e vitelli sui pascoli e negli stazzi.

Un mestiere che, specie in Abruzzo e in Calabria, durò almeno fino agli anni Cinquanta, ma anche sui crinali appenninici come testimonia Alfio Bertolini, ex barbiere quasi novantaquatrenne, memoria storica di Sassalbo e dintorni. "Ricordo nel 1945 l’arrivo in paese di “un luparo”. Era un’epoca in cui Sassalbo contava ben 32 famiglie di pastori che facevano la transumanza. Un uomo asciutto – racconta Bertolini – con un paio di baffi, vestito con un lungo cappotto: sembrava quasi un santone, e portava sulle spalle le spoglie di alcuni lupi uccisi. Veniva dalla zona dell’Alpe di Succiso, nel versante emiliano e girava i nostri villaggi andando di casa in casa dove la gente gli faceva offerte: chi poteva qualche soldo, altri gli consegnavano ricotte, forme di formaggio. "Ho ucciso i lupi - esclamava ad alta voce - che vi mangiavano le pecore" e tutti lo ricompensavano in qualche modo, senza tirarsi indietro".

Quindi il lupo sull’Alpe di Sassalbo c’è sempre stato. " Esattamente, c’è sempre stato – assicura l’anziano barbiere – . Ancora oggi il versante sotto la curva alla prima vecchia Casa Cantoniera sulla nazionale, è chiamata “lupaia”, in quanto da sempre frequentata dai lupi. Ero bambino, e sono nato nel 1929, quando ne venne stato catturato uno vivo, con una trappola: l’avevano chiuso in un essicatoio per le castagne e gli davano pure da mangiare, ma lui da autentico animale selvaggio rifiutava il cibo e dopo pochi giorni morì. "E’ morto dalla vergogna, dicevano le comari del paese – racconta Bertolini – , perchè non era stato abbastanza furbo da non fiutare la trappola". Sono molte le testimonianze sulla presenza di questo predatore nel nostro territorio. Ricordo quanto mi raccontava mio padre, nato nel 1904, su un cucciolo di lupo rinvenuto abbandonato nella zona dell’Ospedalaccio da un pastore di Sassalbo. L’aveva tirato su come un cane – spiega Alfio – e obbediva anche; però quando il pastore accendeva un falò per riscaldarsi, aveva il terrore del fuoco e se ne stava alla larga, anzi, se era nei pressi del Rosaro, si tuffava dentro l’acqua gelida del fiume".

Oggi, dopo aver rischiato l’estinzione, il lupo, l’ antico predone, è tornato a ripopolare le nostre montagne, complici lo spopolamento e la grande abbondanza di prede, in primis cinghiali ed altri ungulati immessi a scopo venatorio. Nel frattempo, lo Stato ne ha vietato la caccia e la cattura;certamente non sono pochi i danni che questo carnivoro arreca agli allevatori, specie i pastori, ma anche ai proprietari di bovini e cavalli. Sarà necessario trovare alla svelta una qualche forma di ‘coesistenza’ fra allevatori e predatori".

Roberto Oligeri