La sentenza: "I beni estimati sono privati" La conferma della Corte d’appello di Genova

Il secondo grado di giudizio ha respinto il ricorso del Comune contro il verdetto del Tribunale di Massa. Vale la legge degli Estensi

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di Claudio Laudanna

I beni estimati sono privati. Niente da fare per il Comune, la Corte d’appello di Genova ha respinto il ricorso contro la sentenza del tribunale di Massa del 2018 che dava ragione a una trentina di aziende che rivendicavano la proprietà su porzioni delle cave che lavoravano. Come già il giudice Paolo Puzone quattro anni fa, anche i magistrati genovesi hanno respinto la tesi difensiva del municipio accogliendo invece le istanze del pool di legali degli industriali che comprendeva Sergio Menchini e Giuseppe Morbidelli e ancora da Riccardo Diamanti, Roberto Righi, Luigi Cocchi, Antonio Lattanzi, Giovanni Altadonna, Mario Chiti, Antonella Vergine e Roberto Martini. Nel confermare la sentenza di primo grado, in particolare, la Corte d’appello non solo fa esplicito riferimento a un diritto vivente "conforme alla disciplina dei beni estimati come di natura privata", ma ripercorre passo passo lo sviluppo della normativa a partire dall’editto di Maria Teresa del 1751 e ancora prima dagli statuti albericiani del XVI secolo. Secondo l’avvocato Domenico Iaria, che ha curato la difesa di piazza II Giugno, in primo grado il tribunale di Massa avrebbe "erroneamente desunto la natura privata dei beni estimati dall’inerzia del Comune nell’individuare una specifica disciplina degli stessi". Proprio questa situazione di "incertezza giuridica" avrebbe determinato secondo i rappresentanti di piazza II Giugno la sopravvivenza nel tempo di quanto previsto dagli Statuti Albericiani del 1574 e all’Editto del 1751 "che espressamente attribuivano tali beni alle vicinanze". Una tesi che i giudici di secondo grado hanno deciso di respingere citando anzitutto la pronuncia della Corte costituzionale del 2016 che, nell’esprimersi in merito alla legge regionale dell’anno precedente, da un lato sottolineava come "le vicende successive all’editto del 1751, sono segnate da una sequenza di plurisecolari inefficienze dell’amministrazione, che hanno impedito le verifiche e gli accertamenti necessari a porre ordine alla materia" e dall’altro come sia "un dato storicamente incontrovertibile che nel diritto vivente venutosi a consolidare nei secoli diciannovesimo e ventesimo, i beni estimati non sono trattati come beni appartenenti al patrimonio indisponibile del Comune". Non solo. "Il Comune, quando nel 1994 ha adottato il suo primo regolamento che poneva fine alla vigente legislazione estense, di quei beni non ha trattato". A sostegno della natura privata dei beni estimati la corte d’appello cita anche gli accordi tra l’ente e le imprese del 2004 nei quali era messa nero su bianco, tra l’altro, una riduzione delle tariffe per le cave che comprendessero dei beni estimati. "Di particolare rilievo – si legge nella sentenza di secondo grado - e` la clausola del 2004 secondo cui ‘il fatto che tale riduzione sia prevista in maniera simbolica non verra` comunque utilizzato dal Comune per contestare l’esistenza del particolare regime fin qui riconosciuto’. E’ a tale statuizione che deve farsi riferimento per chiarire la diversa natura dei beni estimati rispetto agli agri marmiferi". Infine gli stessi giudici genovesi ricordano come, a sostegno della natura privata dei beni estimati, ci siano anche "numerosi atti negoziali riguardanti i medesimi beni: compravendite, contratti di affitto, espropriazioni individuali e collettive, in seguito alle quali i beni sono stati trasferiti al soggetto aggiudicatario, cosi` come sentenze di accertamento dell’usucapione. Alla luce di tutto ciò deve accertarsi l’infondatezza delle censure svolte dal Comune". Questa nuova sentenza ora segna un punto importante a favore delle imprese in una battaglia lunga e complicata e pone un primo serio problema da risolvere sul tavolo della appena eletta sindaca Serena Arrighi. Starà ora ai legali di piazza II Giugno valutare se ci siano i margini per un ulteriore ricorso in Cassazione, mentre la politica dovrà decidere se continuare con la linea oltranzista su un tema tanto delicato oppure provare a trovare una mediazione con il mondo delle imprese.