
La battaglia nella ’città dei ponti’ Il bombardamento e il Cristo Nero "Salvò la borgata dalla distruzione"
La città dei ponti non poteva uscire indenne dai bombardamenti mirati dell’aviazione alleata che cercava di tagliare le vie di fuga all’esercito tedesco. La pioggia di bombe iniziò a scatenarsi l’11 maggio 1944 per replicare l’azione a settembre e poi a febbraio del ‘45 con una serie di attacchi in vista dell’epilogo finale: 12 i morti tra i civili e macerie tra cui il ponte di Porta Parma, la chiesa di San Pietro e la Villa Lorenzelli. Gli obiettivi erano la ferrovia, i ponti stradali e la ’Berta’, un cannone che i nazisti nascondevano all’interno di una galleria. Tra le tante bombe una, il 18 marzo 1945, colpì una casa di Via Garibaldi di fronte alla Chiesa di San Nicolò. Poteva essere una strage e la devastazione di un intero quartiere storico. Ma l’ordigno stranamente non scoppiò, rimase inerte come bloccato da una mano santa.
E la devozione popolare fideisticamente riconobbe l’intervento del Cristo Nero. Un grande crocifisso, di cui si ignora la provenienza e la datazione ( forse del XV secolo). La leggenda racconta che una donna di nome Liberata ospitò una sera un povero pellegrino con un pesante fardello sulle spalle, bisognoso di ricovero. Il mattino seguente però l’uomo era scomparso. Ma dalla soffitta dell’abitazione scaturiva una misteriosa luce. Qui fu scoperto un sacco lasciato dallo sconosciuto: avvolto in un panno c’era il prezioso crocifisso che venne conservato nella vicina chiesa diventando una specie di icona salvifica. Un piccola lapide murata nella facciata della casa ricorda l’evento davvero miracoloso del 1945. La mancata esplosione fu attribuita alla grazia concessa alla città da quel Cristo di legno scuro. I fedeli subito compresero che c’era qualcosa di misterioso nel mancato scoppio - spiega don Lorenzo Piagneri - e per tanti anni nell’anniversario del bombardamento i parrocchiani si riunivano in chiesa per ringraziare il Cristo Nero per la protezione soprannaturale, che aveva salvato il borgo dalla distruzione". Analogo episodio nella frazione di Succisa, quando ai soldati tedeschi in ritirata si inceppò il cannone puntato verso la chiesa dedicata a Santa Zita. E affiorano anche altri eventi straordinari come l’opera del vescovo monsignor Giovanni Sismondo, che salvò Pontremoli da bombardamenti a tappeto intervenendo ripetutamente anche contro i rastrellamenti e tutte le forme di violenza. Salvò dalla morte moltissimi partigiani, fu più volte minacciato dai nazifascisti e fatto per due volte prigioniero dai tedeschi. E poi c’è quella notte tra il 25 e 26 aprile del ‘45: al tenente prussiano che era venuto ad arrestare il vescovo e i suoi collaboratori (tra cui il segretario don Marco Mori) e ad annunciare che la città sarebbe stata bombardata se non fossero stati rintracciati due tedeschi del comando fuggiti con segreti militari, monsignor Sismondo disse: "Non avete il diritto di infierire contro una città indifesa, di toccare i suoi abitanti, i viveri e le sue case Se volete del sangue prendete il mio!". Altissimo il prezzo pagato per la Liberazione: una quarantina i partigiani caduti, pontremolesi o arrivati qui da altri territori, decine quelli feriti.
Due le medaglie d’oro al valor militare alla memoria: a Fermo Ognibene, “Alberto“, comandante del “Picelli“ caduto da eroe a Succisa il 15 marzo 1944 e al giovanissimo Pietro Polesi “Giacosa“ di Guinadi, ucciso in azione l’8 aprile 1945 a Casa Corvi; e poi altre medaglie d’argento come il sardo Isidoro Frigau e il pontremolese Remo Moscatelli caduti al fianco di Ognibene a Succisa; e poi altri due pontremolesi: Giulio Bastelli, di Bassone, comandante partigiano morto pochi giorni prima della Liberazione per lo scoppio di un ordigno che stava predisponendo e Luciano Gianello “Mirko“, partigiano protagonista della mitica battaglia del Lago Santo, che dopo la fine della guerra accorreva in tutta la Lunigiana per sminare terreni e disinnescare ordigni, morto nel greto del torrente Taverone nel novembre 1945.Senza dimenticare le tante vittime civili: quelle sotto i bombardamenti – un centinaio nel territorio comunale – così come quelle uccise nei rastrellamenti. Un calcolo, per difetto, ne ha contato oltre sessanta.
Natalino Benacci