Ci sono i giochi dei bambini dei secoli scorsi, i divertimenti degli adulti, i modi per passare il tempo libero nel periodo delle prime industrie. Il Circo di Ligabue con le irriverenti lavandaie di Bistolfi, i soldatini di Toma con gli arlecchini di Viani. Dopo la suggestione del Novecento a Carrara e la riscoperta della Belle Epoque italiana, per l’estate 2025 la Fondazione Giorgio Conti, che ha festeggiato i dieci anni, ha inaugurato ieri a a Palazzo Cucchiari la mostra ’In gioco. Illusione e divertimento nell’arte italiana 1850-1950’ che si apre oggi fino al 26 ottobre.
Curata da Massimo Bertozzi, che ha messo insieme il meglio di quanto prodotto da grandi della pittura e artisti meno noti, la mostra, con 110 dipinti di un’ottantina di artisti, ci conduce per mano sui passatempi della borghesia, delle classi povere, dei grandi e dei piccini di un tempo. Una mostra divisa in quattro sezioni che declinano in vari aspetti il modo con cui gli artisti concepivano il gioco che per una società che scopriva l’importanza del lavoro non era perdita di tempo, ma recupero di energie e modo di ostentare la propria classe sociale. La mostra si articola in quattro diverse sezioni: si comincia con gli “Svaghi e ricreazioni del quotidiano”, per poi proseguire con “Crescere ed imparare: un gioco da ragazzi”, “Intrattenimenti e spettacoli: l’invenzione del tempo libero” e infine “Sfide, competizione e destino”. I dettagli delle opere sono stati illustrati dallo stesso curatore Bertozzi introdotto dalla padrona di casa, Franca Conti, che ha trasformato il palazzo di via Cucchiari in un tempio dell’arte abituando la città a un appuntamento annuale con il gotha della pittura mondiale. "Queste mostre – ha detto Franca Conti – sono visitate da oltre 8mila persone di cui un migliaio di studenti. Aprire alle scuole è la cosa che mi inorgoglisce di più". Con loro hanno parlato della mostra le due autrici Daniela Ferrari e Sandra Berresford che hanno portato valore aggiunto al tema del gioco e dell’importanza di esso in qualsiasi società. Temi intramontabili che hanno fatto parte di ognuno di noi come le maschere celebrate da Dudovich e da Muller, la toccante metamorfosi di Pinocchio in ’Interno melanconico ’ di Francalancia o ancora ’Le bambine che fanno le signore’, di Silvestro Lega. Attimi del quotidiano uniti a momenti solenni che celebrano secondo diverse sensibilità e tecniche pittoriche il gioco sia esso inteso come momento di apprendimento e di crescita, che come spazio di svago di una società che non aveva tempo da perdere. Si assiste così alla scoperta del tempo “libero”, che in una società dinamica e intraprendente non può restare tempo “perso” e va trasformato in tempo socialmente utile e produttivo.
A Palazzo Cucchiari, quindi, una sorta di “parco divertimenti” raccontato da un corpus di opere che si dipana dai bambini che imitano i grandi ai ragazzi a volte orgogliosi, a volte delusi dei propri giocattoli nei dipinti di Fausto Pirandello o di Riccardo Francalancia. Un mondo in miniatura dei giocattoli raffigurato da Casorati e Corrado Cagli, e poi il mondo arcaico dei “giocolieri” professionisti, della gente del circo e delle maschere del carnevale, immortalato da Mosè Bianchi e Gino Severini, da Capogrossi e Alberto Donghi fino a Primo Conti e Antonio Ligabue. Per finire emozioni e fiato sospeso con l’attualità dello sport e delle sfide alla sorte, con i dinamismi futuristi di Mario Sironi, Gerardo Dottori e Roberto Iras Baldessari, le verità moderne di Carrà, la giocosa plasticità di Medardo Rosso e gli ardimenti fisici di Francesco Messina e di Marini.
Per ogni artista, suggerisce Roger Caillois, il gioco è una “isola incerta”, come precisa il curatore della mostra Massimo Bertozzi, "una terra di mezzo, tra una realtà costretta a prendere a modello l’organizzazione e le regole della vita quotidiana e un paese altrove, fittizio, ma imitato dal vero, dove le regole sono state riorganizzate e riscritte. Una ‘realtà magica’ dove la curiosità della scoperta, il piacere dell’invenzione e l’estro della creazione scendono a patti con la convenzione che tiene insieme la norma e il capriccio, lo stesso bisticcio dialettico che accomuna il gioco e l’arte". Giocare è soprattutto cosa da ragazzi, che si divertono a imitare i “giochi” dei grandi e così imparano il “mestiere di vivere”, a crescere. Emozioni e stimoli quindi in tre piani di mostra che dipana quanto il gioco appartenga a qualsiasi società e quanto esso sia importnate nella definizione delle varie collettività.