REDAZIONE MASSA CARRARA

'Furbetti del cartellino', incubo finito per 17 dipendenti

Il Gip archivia la loro posizione. Intanto a fine mese a Palazzo Ducale l’udienza preliminare per oltre 50 indagati

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Massa Carrara, 8 gennaio 2021 - Incubo finito per 17 dei 70 indagati nell’inchiesta della Procura di Massa Carrara che aveva messo nel mirino i cosiddetti ‘furbetti del cartellino’ dipendenti di Genio Civile e Provincia: il Giudice per le indagini preliminari, Dario Berrino, ha firmato il 23 novembre il decreto di archiviazione delle indagini a loro carico, su richiesta del sostituto procuratore Roberta Moramarco: dalle prove raccolte a loro carico non emergono elementi tali da sostenere l’azione in giudizio, insomma da portarli a processo. Un’indagine che da settembre 2018 aveva fatto tremare le Istituzioni: assenteismo, doppio lavoro, timbrature omesse o simulate, false certificazioni.

Accuse gravissime: 29 misure cautelari per altrettanti dipendenti pubblici fra Provincia e Genio Civile. La Regione fa scattare a gennaio del 2019 (con effetto retroattivo da settembre) 16 licenziamenti al Genio sui 21 dipendenti (gli altri 5 vengono soltanto sospesi). Un solo licenziamento e la sospensione temporanea di alti 7 in Provincia. Le verifiche vanno avanti e alla fine anche per gli altri dipendenti l’avviso di conclusione delle indagini a maggio del 2019. In tutto 70 indagati. Ma l’inchiesta non sembra dare gli esiti sperati perché la battaglia legale dei lavoratori per contestare i licenziamenti si risolve con semplici sospensioni e tagli dallo stipendio.

Sui 16 licenziati dalla Regione, infatti, 7 sono già rientrati in servizio: 5 con conciliazioni e altri 2 riammessi con sentenza del giudice del lavoro. Ma la vera nuova svolta arriva poche settimane fa con il decreto di archiviazione per 17 dei 70 indagati. Si tratta di Andrea Berlucchi, Riccardo Biancardi, Andrea Biagini, Angela Grazia Candeloro, Paolo Cimoli, Paolo Francesco Cortopassi, Rossana Leonardi, Alessandra Malagoli, Piera Fanny Milano, Renata Pelacci, Fabio Pucciarelli, Adriano Ricci, Angela Rossi, Vittorio Storti, Dino Zoppi, Lauro Zampolini e Stefano Malucchi.

Per tutti loro, il Pm ritiene di “non avere elementi sufficienti per sostenere l’azione in giudizio trattandosi nella maggior parte dei casi di condotte isolate o comunque rispetto alle quali, benché ripetute nel tempo, non si può ragionevolmente escludere che l’assenza di timbratura sia stata dovuta a dimenticanza o negligenza scusabile”. In particolare per Cortopassi il Pm evidenzia come le timbrature fatte per conto di altri fossero riconducibili a “cortesia nei confronti di colleghe che chiedevano un favore magari perché affette da problemi di deambulazione”.

Da quando l’indagine è diventata pubblica, insomma, dei 16 licenziati dalla Regione 7 sono già stati reintegrati e praticamente è stata archiviata la posizione di un quarto degli indagati che riescono soltanto ora, dopo due anni di fatto, a scrollarsi di dosso il marchio d’infamia di ‘assenteisti’, come rimbalzato nell’opinione pubblica. C’è chi parla ma preferisce non apparire: tutti si sentono liberati da un enorme peso: “Non c’erano indizi di colpevolezza. Dispiace però vedere che a due anni di distanza la Regione continui a restare sorda, di fronte anche a quanto emerge dalla Procura. C’è chi ha perso quasi due anni di stipendio, ci sono famiglie anche monoreddito rovinate da quei licenziamenti. E anche chi è stato reintegrato comunque ha dovuto sopravvivere per oltre un anno senza ricevere niente. Senza parlare delle spese processuali, che saranno almeno di 10mila euro. Ci aspettiamo che la nuova giunta riconosca l’errore almeno e che cambi la situazione perché hanno giocato con la vita delle persone”.

Francesco Scolaro