
di Cristina Lorenzi
CARRARA
Una frase che adesso farebbe raccapricciare. Scritta nero su bianco nelle motivazioni del licenziamento. Ci vuole scarsa memoria e molta faccia tosta a pensare che l’Italia, a quel tempo, fosse diversa. "Esonerato perché di razza ebraica": deve essere stata una stilettata dritta al cuore per Marcello Pesaro, ingegnere alla Ferrovia marmifera di Carrara, quando nel luglio del 1940 si vide recapitare la lettera che, a chiare lettere, testimoniava tutto l’orrore di cui l’Italia era complice a pieno titolo. "In conformità alle disposizioni impartite dalle superiori gerarchie da oggi non potete più far parte del nostro personale". Lui qui era arrivato per lavorare all’imponente infrastruttura che portava la piccola città dei marmi all’ombra delle Apuane, nel gotha della civiltà industriale mondiale. Qui, in una casa della suggestiva via Carriona, a palazzo Forti, nacquero i due figli Andrea e Renata e da qui, dove nel 1933 aveva deciso di far crescere la sua famiglia, con la moglie Giuliana Finzi Magrini fu costretto a fuggire. Si rifugiò al nord dove venne impiegato, sempre grazie agli aiuti della famiglia Forti, che spesso, si ritrova nelle vicissitudini dei Pesaro, in un pastificio a Vercelli, ma anche da lì con l’acuirsi dell’odio razziale, dopo i rastrellamenti che gli portarono i suoceri da Ferrara ad Auschwitz, riuscì a fuggire nella vicina Svizzera e, a differenza dei genitori della moglie,, che dal campo di sterminio non tornarono più, riuscì a salvare se stesso e la famiglia. Una storia che arrivò a Giorgio Bassani che dalle persone della famiglia Finzi Magrini di Ferrara scriverà quel capolavoro del "Giardino dei Finzi Contini" che tutti conosciamo e dove, se la caratterizzazione dei personaggi è lasciata alla libera fantasia dello scrittore, nomi, location e famiglia sono liberamente ispirati dalla famiglia Finzi Magrini. Persino il cane Yor è lo stesso.
I dettagli, le carte e la documentazione dell’odissea che molti ebrei vissero in quel terribile periodo sono stati rinvenuti dal museo di Washington e negli archivi della Ferrovia Marmifera, da Maria Mattei, sempre attenta alle testimonianze dei nostri tempi bui e in prima linea nel non dimenticare e far conoscere ai nostri ragazzi gli orrori della shoah. Domani alle 10, in occasione della Giornata della memoria, a palazzo civico Mattei terrà sulla famiglia Pesaro una lectio magistralis dal titolo "Le case raccontano". "Non so se è un dovere, una scelta o un destino – dice Mattei –, ma so che devo farlo. Soprattutto dopo la morte di Liana Borghi e Carla di Veroli con cui ho condiviso anni di ricerche". Così domani in consiglio comunale solenne chiederà di intitolare una targa sulla Carriona a ricordo di questa famiglia che cercava il suo futuro a Carrara ma che qui vide il suo sogno spezzato.
"La loro storia pone una domanda – sostiene Mattei – è possibile riflettere sulla shoah italiana, sulle leggi razziali e sulle terribili conseguenze utilizzando la categoria delle relazioni tra italiani ariani ed ebrei, nella consapevolezza che tutto fu sotto gli occhi di tutti. Gli storici hanno decostruito il mito del bravo italiano, ma che l’Italia abbia giocato un ruolo marginale nella Shoah ancora permane. Invece, non fu così: le leggi razziali non furono sollecitate dall’alleato nazista, ma elaborate dal fascismo per creare un uomo nuovo, ariano e fieramente razzista".