
Il Monte Castellaro
Zignago, 4 giugno 2020 - Un filo sottile ma solido lega le genti del monte Castellaro agli antichi abitatori dai quali hanno avuto in dote l’amore viscerale per le proprie radici. Ce lo fa scoprire il Consorzio Il Cigno attraverso la propria pagina Facebook. Terra antica, segnata da tempo immemorabile dal lavoro umano, lo Zignago possiede ancor oggi il fascino del 'territorio montano ancora conservato nell’ambito della tradizionale economia agro-silvo-pastorale' come Tiziano Mannoni ebbe a definirlo dopo che nel 1967 era stato segnalato un abbondante ritrovamento di reperti databili al Bronzo Recente e Finale sul monte Castellaro. Dalla scoperta casuale nel 1827 della prima statua stele lunigianese, risalente all’Età del Rame sempre in Comune di Zignago in località Novà, era passato oltre un secolo ma si apriva ora una nuova stagione di ricerche che porterà a risultati sorprendenti interessando un lunghissimo arco temporale dal 1969 al 1996.
“Risaliamo senza fretta la lingua di asfalto, irta e tortuosa, che dalla strada provinciale Pieve di Zignago-Suvero porta al Castellaro. Prima di vederlo davanti, spoglio e sassoso, ecco pararsi innanzi a noi il monte Dragnone. Arrivati sulla grande sella che divide i due rilievi è bene proseguire a piedi raggiungendo in pochi minuti la cima del Castellaro di Zignago: poco sotto l’agglomerato ordinato di case della famiglia Moscatelli con le stalle ci ricorda che siamo nel regno dell’allevamento biologico”.
Ma perché è così importante questo luogo che ha il toponimo di Castellaro? “Dal 1969 numerosi sono stati gli scavi condotti da Tiziano Mannoni, al quale è dedicata la mostra permanente ospitata a Pieve di Zignago, in un locale di fronte alla sede del Comune. La presenza umana è documentata nell’età del Bronzo: resti di capanne sono stati scoperti insieme a tracce di pavimenti in terracotta.
Le prime ricerche archeologiche interessarono, oltre al Castellaro, il monte Dragnone sul quale è stata accertata la presenza umana solo in una fase successiva durante la seconda Età del Ferro, fra il V e il IV secolo avanti Cristo. Successive indagini da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Liguria hanno confermato l’importanza del sito con una interazione tra Liguri e la cultura greca ed etrusca”.
Grazie al professor Lanfredo Castelletti, già direttore dei Civici Musei di Como, che collaborò con il Mannoni nelle ricerche, fu raccolta una notevole quantità di semi, sia quelli carbonizzati che ricavati da impronte su ceramiche. È stato così possibile accertare che nello Zignago erano coltivati in quantità decrescente orzo, farro, frumento volgare, dicocco, grano saraceno, panico e miglio. Tra i frutti troviamo le mele insieme al nocciolo e al corniolo. Allora come oggi la popolazione si dedicava all’allevamento privilegiando le pecore e i maiali, questi ultimi lasciati allo stato brado.
Lo scavo del 2012 chiude invece idealmente un trentennio di ricerche che hanno visto impegnati studiosi cresciuti sul campo con Tiziano Mannoni e altri appartenenti alla seconda generazione che ebbero il professore come insegnante all’Università degli Studi di Genova. Visitando la piccola mostra permanente storico-archeologica di Pieve, dedicata al professor Mannoni, ci immergiamo idealmente in cinquemila anni di storia come ci ricordano i pannelli che illustrano i vari periodi della presenza dell’uomo. Mannoni aveva capito fin dai primi sopralluoghi l’importanza di questo territorio dove è inutile cercare oggi un borgo di nome Zignago: tutti i paesi del Comune, dei quali campeggiano nell’ultima stanza della mostra le foto, non richiamano questo toponimo. Eppure un insediamento abitativo di nome Zignago è esistito davvero, come ci confermano le fonti documentali, fra il XIII e il XIV secolo.
“Lungo la strada sterrata che ricalca l’antica mulattiera che da Pieve porta al borgo di Serò, nel corso di un sopralluogo, i ricercatori dell’Iscum trovano nel 1977 i resti di un villaggio medioevale. A quel tempo il piccolo rilievo conosciuto come monte Zignago si presentava spoglio di vegetazione come si può desumere da fotografie dell’epoca: quello è il locus Zignaculi documentato una prima volta nel 1273 e successivamente nel 1276 insieme al locus Serre maioris. Questa seconda località corrisponderebbe secondo la tradizione popolare al castello di Serra Maggiore che sorgeva fra Torpiana e Valgiuncata. Con il definitivo abbandono dell’insediamento nel XIV secolo si sviluppa il nuovo nucleo abitato a valle anche se la chiesa di S.Pietro di Cornia, antica pieve della Diocesi di Luni da cui prende il nome il paese attuale, è documentata fin dal XII secolo e quindi molto prima della scomparsa di Zignaculo, successivamente volgarizzato in Zignago, ad indicare l’intero comprensorio”. Perché l’abbandono dell’antico nucleo abitato? “I primi scavi avevano messo in evidenza edifici incendiati ma le indagini del 2012 hanno in parte cambiato questo convincimento: un incendio probabilmente pianificato era in effetti avvenuto ma non aveva interessato l’intero villaggio in quanto l’abbandono di alcune abitazioni fu precedente a quell’accadimento. L’erosione dei versanti ha fatto nel tempo il resto impedendo di poter ricostruire oggi nella sua interezza il borgo medioevale. La parte sommitale era occupata con ogni probabilità da una torre di avvistamento e al di sotto si trovavano su piccoli terrazzamenti le abitazioni e più a valle le stalle, collocate in prossimità della antica percorrenza medioevale”. Resta il fatto che lo Zignago e la sua orgogliosa comunità ha rappresentato nel corso dei millenni un crocevia importante, un luogo dove il tempo e la storia si sono davvero fermati, un territorio del quale dobbiamo essere fieri.