
Il pittore Aldo Michi
La Spezia, 9 febbraio 2021 - Oltre 150 quadri, che abbracciano una fertilissima e lunga stagione creativa cominciata alla metà degli anni ‘50, sia pure caratterizzata da molte interruzioni e tormentati ripensamenti, poi puntualmente superati con la ripresa dell’attività artistica. Un alternarsi quasi convulso di periodi ispirati e prolungati disimpegni. Aldo Michi è probabilmente l’ultimo dei pittori di rango viventi ad aver partecipato all’esperienza della ‘Mostra del Golfo’, prestigiosa rassegna accreditata come punto di svolta della pittura spezzina. Da allora sono passati oltre sessant’anni, in mezzo decine di mostre e riconoscimenti, anche se, come scrive l’amico scultore Fabrizio Mismas, Michi, "persona perennemente defilata, non si è mai prodigata in promozioni per l’artista, al pari di scrittori, poeti e pittori che, riluttanti a menare cimbali e grancasse, sono rimasti sullo sfondo sebbene più muniti di estro di tanti specialisti in roboanti fuochi d’artificio". Oggi, dall’alto dei suoi lucidi 85 anni, il pittore coltiva l’idea di regalare alla sua città, cioè al Comune, la sua produzione, in gran parte raccolta in un deposito a Bottagna, il resto custodito nell’appartamento di via Saffi dove vive. E’ un prezioso patrimonio dove la molteplicità dei soggetti incarna l’evoluzione stilistica dell’artista: nudi dalla "stesura liquida e tersa", come li ha definiti il critico Valerio Cremolini, composizioni di carte dalla rigorosa geometria, paesaggi alternati al tema dei gabbiani ma anche a riproduzioni di macchine belliche, con l’inserimento frequente di fossili, di cui l’artista è collezionista appassionato e competente.
Michi, cosa ricorda degli inizi della sua esperienza di pittore? "Posso dire che la mia storia è cominciata nel 1954, come allievo di Navarrino Navarrini, poi sono arrivate le prime mostre per gli studenti e la maturazione professionale con la partecipazione a rassegne importanti come quella del Golfo. Diciamo che la mia esperienza può essere suddivisa in periodi ben distinti". Quali? "Il primo è quello che va dal ‘57 al ‘60, quando mi sono sposato (la moglie Piera Durando è mancata lo scorso 4 gennaio, ndr. ) e cercavo un avvenire per me e la mia famiglia, all’epoca facevo il falegname, come mio nonno. Poi frequentando Navarrini è cresciuta la passione per la pittura, la mia vocazione. Che ero sulla strada giusta me ne accorsi quando, per caso rimasto solo nello studio dell’artista, misi mano al quadro a cui stava lavorando portandolo avanti. E lui, al rientro, non se ne accorse. Poi però mi sono fermato e sono tornato in falegnameria". Quando ha ripreso il pennello? "A metà degli anni Sessanta mio cugino Andrea, pittore apprezzato già all’epoca, specializzato nella realizzazione di copie di quadri fiamminghi, mi chiese di collaborare con lui. Lo feci con entusiasmo. Finché Andrea se ne andò a 59 anni e a quel punto mi fermai di nuovo. La voglia di dipingere mi tornò qualche anno dopo, soprattutto dopo l’annuncio di un invito per una mostra a Mentone, a cui però non partecipai perché quell’invito non arrivò mai, pare per un disguido. Andai avanti con la pittura ancora per qualche tempo, poi l’esigenza di mantenere me e la famiglia mi convinse a tornare in falegnameria, specializzandomi in mobili in stile marinaresco. Nel 1999, complice la crisi del lavoro, decisi di ricominciare con la pittura, coltivando contestualmente la mia passione per i fossili, che ho raccolto in grande quantità, e per i violini, un amore ereditato da mio padre liutaio, che compaiono anche in molti dei mie quadri. Guardandomi indietro e pensando a tutte quelle tele rimaste chiuse in deposito mi domando se per caso qualcuno, il Comune per esempio, a cui sarei felice di donarli, non avesse un posto per renderli fruibili. Chissà...".