"Niente playstation, solo lettura e musica Ho imparato in famiglia il valore della cultura"

Riccardo Saponara si racconta, dal Milan raggiunto a 21 anni alla maturazione. "La mia sensibilità? Un pregio, io ho saputo valorizzarla"

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di Fabio Bernardini

Un ragazzo semplice, educato, colto, sensibile, dotato di un grandissimo talento calcistico. È il ritratto di Riccardo Saponara, classe 1991, nativo di Forlì, attaccante dalla classe cristallina nelle cui qualità, ammirate anche contro il Milan, mister Italiano ha riposto molte speranze per conquistare la salvezza".

Saponara, quanto c’è del carattere romagnolo in lei?

"A dire la verità mi sono sempre sentito più vicino alla cultura lucana che mi ha trasmesso mio padre, ha come punti di riferimento essenziali: onestà, lealtà e l’importanza di piccoli gesti".

Si dice che la sua sensibilità molto forte l’abbia condizionata nella sua carriera. È così?

"La sensibilità è un pregio non un difetto, è una dote spiccata dell’essere umano. Nel mio caso è sempre stata additata come debolezza e come responsabile causa della mia mancata esplosione definitiva, ma ritengo che ciò sia un modo semplice per catalogare un ragazzo che invece fa della sensibilità una delle sue armi migliori. Anche perché da essa deriva un intuito eccellente che è poi la mia qualità più apprezzata".

Come ha inciso questo suo aspetto caratteriale nel corso della sua vita?

"Arrivai al Milan a 21 anni, avevo una crescita da compiere, oggi mi godo la mia sensibilità con un carattere diverso che ho maturato. Una volta facevo fatica anche a fare una passeggiata in centro perché sapevo che sarei stato guardato da tutti, oggi non mi vergogno a girare con la mia Ferrari, non mi preoccupo più di mostrare quello che mi sono guadagnato sul campo. Ho fatto passi da gigante grazie a una psicologa molto brava che si chiama Francesca De Stefani, avevo bisogno di lavorare su di me. Per me la psicologia dovrebbe essere parte dell’allenamento di un calciatore e parte integrante di un ragazzo in crescita perché per affrontare le sfide importanti ci vogliono equilibrio e spalle grosse. Nella mia crescita personale mi hanno aiutato molto anche i miei agenti Luca Puccinelli e Elio Berti".

L’approdo al Milan ha cambiato il suo modo di essere?

"No, sono rimasto il ragazzo con gli stessi valori che avevo a 21 anni. È chiaro che oggi conduco una vita che non sarebbe stata possibile se non fossi approdato così in alto, le belle cose della vita sono arrivate grazie a questa opportunità. È altresì vero che all’epoca, quel balzo in avanti, mi spaventò piuttosto che aiutarmi, non ero pronto per il grande salto al Milan, non avevo ancora il carattere per impormi".

Si può parlare di lei come di un anti-divo?

"Non mi piace sbattere in pubblico la mia vita privata, anche se poi si trova molto di essa sui media visto che sono un calciatore e la mia ragazza, Andreea Sasu, è una modella di alto livello".

È vero che non concepisce l’idea del fallimento?

"È un altro aspetto che fa parte del Riccardo giovane. Di fallimenti nella mia carriera ne ho avuti, ma penso di aver sempre avuto la capacità di migliorare dalle esperienze negative. E mi ha reso un ragazzo migliore."

Lei è un uomo di cultura, con un diploma di ragioniere a indirizzo informatico. Se non avesse fatto il calciatore?

"La mia famiglia che mi ha tramesso il dovere della cultura, mia mamma quando tornavo stanco dall’allenamento mi leggeva i libri. Amo leggere, studiare la finanza, le storie degli allenatori. Niente più play station. Se non avessi fatto il calciatore avrei continuato il percorso universitario studiando economia".

Sappiamo che ama la musica del pianista Ludovico Einaudi?

"È così, sono andato anche a due suoi concerti. Smisto parecchio dal punto di vista musicale, passo dalla rock alla classica, dipende dai momenti".

Le piace l’inno dello Spezia? "Sì, anche se ne devo ancora imparare le parole".

L’amicizia è possibile nel calcio?

"A Empoli eravamo una famiglia, lì ho instaurato legami forti con Valdifiori e Tonelli. Negli anni seguenti mi sono chiuso un po’ in me stesso, ma a seguire ho conosciuto altri ragazzi di spessore come Lapadula, Rispoli, Barak. A volte confesso che mi dimentico un po’ la bellezza di questo sentimento vivendo sempre in giro".

La fede?

"Ho fatto nove anni di scout, ho un rapporto un po’ travagliato con la fede, nel tempo le mie credenze sono venute un po’ meno con le scomparse di Davide Astori e a Brian Filipi".

La morte di Astori il momento più tragico della sua carriera? Si ricorda, a riguardo, il suo commovente messaggio: ‘Capitano o mio capitano…’

"Sì, assolutamente, non avevo mai vissuto uno choc così forte, anche se è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere".

Le strappo una risata, ma quel ‘lato B’ messo in mostra suo malgrado dopo il gol alla Lazio ai tempi della Samp?

"Fu Tonelli a tirarmi giù i calzoncini nell’esultanza, che scena, rido ancora ora a pensarci".

L’impatto con Spezia?

"Purtroppo, a seguito della pandemia, ho conosciuto poco gli spezzini. Della città ho subito avuto una bella impressione anche se non l’ho girata molto. Vivo in centro, mi trovo bene. Di sicuro metterò a disposizione di questa gente le mie qualità calcistiche e umane".