Le lacrime versate da Florentina "Con chi osa rompere gli schemi"

Mondo Aperto e la battaglia per una nuova cultura dei rapporti: "Chi esce allo scoperto viene ripudiato"

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Mentre racconta la storia di alcune delle decine di ragazze che nel corso degli anni ha aiutato a uscire da una spirale oscura fatta di violenze senza fine, la voce spesso le si incrina. Di quelle donne ricorda tutto. Le parole, gli sguardi, le lacrime. Di etnia greca, cresciuta in Albania e da tanti anni in Italia, Florentina Stefanidhi si definisce cittadina del mondo. Presidente della Cooperativa ’Mondo Aperto’, nel corso della sua ventennale esperienza di assistenza alle donne straniere vittime di violenza ha maturato una convinzione profonda. Quella battaglia non si può vincere prescindendo dal contesto culturale.

Come mai il contesto culturale di provenienza è così importante?

"Quando una donna straniera fa denuncia al centro antiviolenza, noi siamo chiamati per fornirle assistenza linguistica e culturale durante i colloqui. Spesso dopo la denuncia, le viene a mancare qualunque tipo di rete. Quella fornita dallo Stato, con tutta la buona volontà e i progressi fatti nell’ultimo periodo, è ancora troppo debole. La famiglia e l’intera comunità di appartenenza spesso la isolano. Chi ha osato rompere schemi consolidati, denunciando comportamenti violenti che sono radicati in un maschilismo atavico difficile da estirpare, viene ripudiato, bandito, rinnegato. La donna che ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto, priva di qualsiasi altro appiglio, si aggrappa allora disperatamente alla figura del mediatore che diventa un’ancora di salvezza. Diventiamo per lei un modello positivo di appartenenza. Se tu – che condividi con me la cultura e l’origine – riesci a vivere libera e felice, perché io non dovrei farlo? Spesso arrivare a porsi questa domanda è per tante ragazze la chiave di volta".

Quanto pesa la mancanza di autonomia economica?

"Non essere autosufficienti e dipendere dal proprio marito è un aspetto spesso sottovalutato. Una ragazza bengalese, arrivata allo stremo dopo anni di vessazioni e umiliazioni, dopo aver partorito il primo figlio, aveva trovato il coraggio di parlare ma non quello di denunciare ufficialmente. Non avendo né una casa né una fonte di reddito, era quasi arrivata a convincersi che sarebbe stato meglio per lei continuare a vivere nella violenza. Fortunatamente siamo riusciti a trasferire sia lei che il figlio in un alloggio sicuro, ma il tema dell’indipendenza economica è una questione non secondaria. Sono profondamente convinta che ci sia l’urgenza di costruire progetti di assistenza in grado di seguire la donna in tutto il percorso – mai facile – che viene dopo una denuncia".

Come Mondo Aperto cercate di diffondere la cultura della parità di genere partendo dalle scuole?

"Sì, andiamo nelle scuole come mediatori culturali e psicologi. E’ un’età non facile, dove si ha una naturale difficoltà a comunicare le proprie emozioni. Durante i colloqui avevo notato una ragazzina che appariva sempre triste, i suoi occhi chiedevano aiuto. Lentamente è riuscita a dar voce al dolore enorme che si portava dentro. Il padre picchiava quotidianamente la madre e lei non sapeva come aiutarla. Dalla sua denuncia è partito l’iter che ha consentito di sanare almeno in parte la situazione. Parlando con i ragazzi emerge poi con nettezza il tema di come le seconde generazioni siano spesso costrette a vivere una doppia vita. A scuola si sentono liberi mentre a casa devono indossare una maschera per assecondare il modello culturale imposto dalla famiglia".

In molti casi la violenza contro le donne supera il rapporto di coppia e si riversa sui bambini?

"E l’aspetto più tragico di queste vicende. Anni fa una giovane ragazza albanese con due figli piccoli si rivolse a me perché la violenza del marito, prima solo rivolta verso di lei, stava arrivando a toccare anche i suoi bambini. Schiaffi e calci per aver tentato di difendere la madre, asciugandole le lacrime o cercando di frapporsi tra lei e la furia del padre. Siamo riusciti a intervenire con decisione, anche grazie alle forze dell’ordine. Ora il piccolo è un campioncino di calcio mentre la grande ha cominciato l’università, fa giurisprudenza. Vuole diventare avvocato per aiutare altre donne vittime di violenza."

Vimal Carlo Gabbiani