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La ristorazione spadroneggia. E lo shopping sta a guardare: "Colpa della legge Bersani"

La libera concorrenza detta le regole del mercato. E i ’No food’ hanno le armi spuntate. Cosa pensano le associazioni. Confartigianato rilancia sul piano di massima occupabilità.

La ristorazione spadroneggia. E lo shopping sta a guardare: "Colpa della legge Bersani"

La legge Bersani del 1998. È il principale bersaglio delle associazioni di categoria nell’individuare la causa dell’attuale situazione del commercio nel centro storico spezzino, che vede una sempre più crescente presenza di bar e ristoranti a scapito delle altre tipologie merceologiche. "Noi – sottolinea il direttore di Confcommercio Roberto Martini – a suo tempo conducemmo una battaglia contro l’entrata in vigore del provvedimento, ma purtroppo non fummo ascoltati". Prima delle legge Bersani chi voleva aprire una nuova attività doveva fare i conti con un tetto massimo per tipologia di esercizio stabilito in base al numero di residenti in quel quartiere o in quel paese. Dopo non più, chiunque abbia voluto lanciarsi nell’avventura di una nuova impresa lo ha potuto fare. Spalancando le porte alla libera concorrenza è stato poi il mercato a premiare o a stroncare il tentativo. Così in certi casi le nuove attività sono riuscite a soppiantare quelle già esistenti, mentre in altri hanno dovuto chiudere i battenti dopo pochi mesi. "Un meccanismo - continua Martini - che nella nostra città mostra il suo lato più tagliente proprio in questo momento, dove il food e il beverage stanno prendendo un deciso sopravvento su chi commercia altri beni".

A Spezia chi vende scarpe, abiti, gioielli, profumi, pelletteria o qualsiasi altro prodotto che non sia compreso nel settore della ristorazione sta attraversando un momento non facile. I turisti ma anche gli spezzini - che sembrerebbero al momento non avere tasche particolarmente rigonfie - preferiscono spendere una decina di euro per un calice di bollicine con tartine assortite o anche un cinquantino per una cena di pesce piuttosto che mettere mano al portafogli per aggiornare il proprio guardaroba o per acquistare gioielli, dischi o profumi. E se lo fanno, utilizzano sempre di più la Rete come canale preferenziale. Il tempo di un click e ti ritrovi un solerte corriere davanti alla porta di casa con un bel pacchettino da recapitare. Semplice, veloce e per certi versi letale, perché tanti che provano l’e-commerce difficilmente poi ritornano indietro. Oltre alla concorrenza online nel centro storico i negozi e le botteghe sono poi minacciati dall’ipertrofia dei deorhs, che oscurano le loro vetrine e crescono ogni giorno di più, sottraendo spazi e soprattutto fette di mercato. Si spende più volentieri nel cibo. Anche chi non ha molti soldi preferisce spendere quel poco denaro eccedente alla strette necessità in una pizza margherita e in una birra media.

"Sono mutate le abitudini della gente ed è cambiata anche la città – puntualizza il presidente di Cna Davide Mazzola –. Diventando Spezia sempre di più una città turistica è quasi fisiologico che crescano il food e il beverage. Il problema posto dalla recente protesta dei commercianti del centro è sicuramente comprensibile ma non di facile soluzione. Non si può non consentire di aprire un nuovo bar o un nuovo ristorante a chi ha le carte in regola e decide di investire". "Mancano gli strumenti per farlo – sottolinea il direttore provinciale di Confesercenti Fabrizio Capellini – perché il Comune non ha potere in materia".

Nella richiesta dei ’No food’ di chiedere un tetto massimo all’apertura di nuovi locali non c’è un’avversione personale. Baristi e ristoratori sono i vicini di bottega, coloro presso i quali si va prendere un caffè o a scambiare quattro chiacchiere nei momenti morti e le prime persone che si incontrano la mattina e che si salutano la sera nel rito quotidiano di alzare o abbassare la saracinesca. C’è però, in quella domanda, tutto lo spirito di sopravvivenza di intere categorie merceologiche che rischiano di sparire nel processo di trasformazione di Spezia in città turistica. Non a caso dove chiude un negozio di abbigliamento o una profumeria apre sempre un bar o un ristorante. "Come associazione – commenta Nicola Carozza, responsabile categorie Confartigianato – alcuni mesi fa avevamo già avanzato la proposta di studiare un piano di massima occupabilità. Si tratta di uno strumento di pianificazione che in questa fase potrebbe risultare utilissimo". Vimal Carlo Gabbiani