ALMA MARTINA POGGI
Cronaca

"Il made in Italy come bandiera". Il comandante fiero della missione

Il capitano Bartolomeo racconta i retroscena del viaggio: eventi, esercitazioni e rapporti diplomatici

La felicità del comandante di nave Marceglia, Alberto Bartolomeo,. quando ha finalmente potuto riabbracciare la sua famiglia, sulla banchina spezzina

La felicità del comandante di nave Marceglia, Alberto Bartolomeo,. quando ha finalmente potuto riabbracciare la sua famiglia, sulla banchina spezzina

"Mi ritengo estremamente fortunato per aver avuto l’opportunità di condurre una nave come la Marceglia, in questa missione. Sono grato per questo, è un‘esperienza che porterò nel cuore per tutta la vita. Così come porterò con me tutti i membri di questo equipaggio". A parlare – fiero della missione appena conclusa e, soprattutto, dell’equipaggio che ha sapientemente guidato per sei lunghi mesi nelle acque delle aree dell’Indo-Pacifico – è il capitano di fregata, e comandante di nave Marceglia, Alberto Bartolomeo. "La missione – spiega ancora Bartolomeo – ha avuto come obiettivi quelli della presenza nazionale e della cooperazione internazionale, ma è stata rivolta anche alla promozione del cosiddetto ‘Sistema Italia’ in termini industriali, culturali e tecnologici: abbiamo dato visibilità al made in Italy in tutte le occasioni e in tutti gli eventi. La naval diplomacy – continua – è uno degli strumenti principali della politica estera di una nazione e per l‘Italia, fortemente legata al mare, è una delle principali attività che la Marina svolge. Noi abbiamo tenuto diversi eventi a bordo, ricevimenti, meeting professionali, meeting industriali, tutti rivolti ad accrescere i rapporti con le nazioni ospitanti e a dimostrare quella che è la buona volontà e l‘interesse strategico dell‘Italia verso queste nazioni. Abbiamo svolto quasi 15 esercitazioni con Marine estere e in più abbiamo partecipato in supporto diretto all‘operazione Atalanta che ci ha visto impegnati in diversi periodi sia in Mare Arabico che in Mare Rosso". Momento particolarmente delicato è stato quello dell’attraversamento dello stretto di Hormuz. "Eravamo in porto a Doha quando c‘è stato il primo attacco – spiega Bartolomeo – e ci siamo ritrovati a dover disimpegnare subito dal golfo Persico e dirigerci verso il golfo di Oman, nell‘incertezza che lo stretto di Hormuz fosse da un momento all‘altro chiuso. L’interesse mio e della Marina militare era innanzitutto quello di poter continuare l‘attività. E’ ovvio che questo evento ha cambiato un po’ il volto della campagna in Indo-Pacifico dando una postura ancora più operativa e alzando il livello di attenzione".

Alma Martina Poggi