Covid-19, "Ho visto la morte in faccia ma ce l’ho fatta"

Gianni Argellati dimesso dal Sant’Andrea dopo due settimane di ricovero. Ora è in isolamento al Falcomatà per proseguire la terapia

Gianni Argellati, dipendente di Fincantieri, ha ’salutato’ con un selfie l’ospedale

Gianni Argellati, dipendente di Fincantieri, ha ’salutato’ con un selfie l’ospedale

La Spezia, 24 marzo 2020 - Gioia, amarezza, inquietudine, riconoscenza, entusiasmo e mille altre emozioni difficili da contenere. Gianni Argellati è sulla via della guarigione dopo aver contratto il coronavirus e "dopo aver visto la morte in faccia". Cinquant’anni, sposato, due figli, capo officina apparato motore, è il primo contagiato di Fincantieri - quello per il quale si è arrivati allo sciopero - dimesso dall’ospedale Sant’Andrea sabato 21 marzo, dopo un ricovero di 13 giorni, e trasferito al Falcomatà, dove sta proseguendo il protocollo per il Covid-19. Innanzitutto, come si sente? "Non posso dire al 100 per cento, ma al 97 sì. Non soffro più per la mancanza di ossigeno, vorrei già uscire, ma per adesso mi devo accontentare di passeggiare nei lunghi corridoi della struttura di viale Fieschi". Il principio di tutto? "Il primo sintomo la sera di venerdì 28 febbraio, avevo un freddo intenso e un febbrone sopra i 39. Sabato mattina tutto inspiegabilmente passato e ci avevo scherzato su in famiglia con ‘era una febbre dello sviluppo’, come gli adolescenti. Nel tardo pomeriggio la temperatura si era rialzata, avevo cercato di abbassarla con la tachipirina, in più si era aggiunta una forte sindrome diarroica: per questo, tutti mi dicevano ‘non è sintomo da Coronavirus, stai sereno’". E lei sereno non era... "La febbre mi è sempre durata al massimo tre giorni, così al quarto, martedì 3 marzo, ho chiamato il 1500, numero verde nazionale: ho solo ricevuto il consiglio di restare a casa. Non stavo bene e ho deciso di fare una lastra al torace, giovedì 5 marzo, in uno studio privato: nulla. Nei giorni successivi, mentre la diarrea non mi dava tregua, i primi problemi di respirazione. Lunedì 9 marzo mattina ho chiamato il 112 chiedendo un’ambulanza, arrivata alle 12". Da lì direttamente al reparto Infettivi del Sant’Andrea? "Sì. Al tampone sono risultato positivo e hanno notato un principio di polmonite. Dopo quattro giorni sono stato trasferito a Medicina d’urgenza. Qua, all’inizio, il personale non era equipaggiato, poi hanno migliorato la condizione di sicurezza". E la sua respirazione? "Sono sempre stato cosciente e per respirare non ho mai avuto bisogno di quel ‘pallone’ che ti prende tutta la testa; mi sono rilassato e ho resistito per cercare di ossigenarmi il più possibile attraverso la maschera". Quali sono state le cure? "Antivirali utilizzati per malaria e Aids. Ancora per un paio di giorni devo prendere il Plaquenil, che contiene clorochina. Non so tutto quello che mi è stato somministrato, l’importante è che stia procedendo tutto bene. Le dimissioni? La sera di venerdì 20 hanno provato a togliermi l’ossigeno ‘assistito’ e il giorno dopo lo hanno fatto completamente, osservando che riuscivo a recuperare il respiro. La fase critica era alle spalle". Come è andato il trasferimento? "Sono arrivato all’ospedale militare Falcomatà alle 16 di sabato 21 marzo, ho mangiato e ricevuto rassicurazioni dalle persone della protezione civile all’esterno: se avessi avuto bisogno, avrei potuto chiamarle. Ora sono nella mia stanza, arredata di fresco, ho il televisore che guardo il meno possibile. D’altra parte sono in continuazione al telefono, con parenti, amici e colleghi. Parlo, parlo e ancora parlo, come non facevo da tempo, racconto e imploro loro di stare attenti. Sono senza voce e non mancanza di fiato a causa del Coronavirus!". Ha mai avuto paura di non farcela? "A parte gli incubi massacranti di certe notti, per due volte ho pensato che sarebbe finita male e quindi quasi ho sperato si chiudesse rapidamente, senza soffrire troppo". Chi le ha dato la forza di non mollare? "Mia moglie, i miei figli, i miei genitori e tutta la mia famiglia, il loro amore". E ora? "Non so se i buoni propositi di questi giorni terribili riuscirò a portarli a compimento, ma mi sento rinato. Solo con un’esperienza così devastante ti accorgi quante cose belle della vita non apprezzi abbastanza. Prendiamola sorridendo, sono dimagrito 5 o 6 chili e questo è stato positivo, ne avevo bisogno". Quale percorso la attende? "Non sono entrati nel dettaglio. Questa struttura, da oggi (ieri, ndr ), ha un presidio ospedaliero che si va ad aggiungere a quello esterno della protezione civile. Sicuramente finché non avrò due tamponi negativi consecutivi, sarò isolato. Intanto cerco di ristabilirmi, a mezzogiorno e alle sette di sera arriva il pasto classico... da ospedale. Poi due volte al giorno vengo visitato dai medici". Come ha contratto la malattia? "Non sa quante volte ci avrò riflettuto. In realtà, al di là della routine casa-lavoro, potrei considerare un viaggio in treno a Genova, in trasferta per un corso di aggiornamento, una settimana prima delle iniziali avvisaglie. In Fincantieri, però, potrebbe essere capitato ovunque". Ha avuto modo di vedere il collega Marco Tonelli, deceduto nei giorni scorsi? "Purtroppo no. Avrei voluto stargli vicino e supportarlo in qualche modo, ma non era possibile". Che clima si respirava al Sant’Andrea? "Un ambiente apocalittico, di guerra. Nessuno si ferma un attimo, impegnati a dare il massimo. Visto che non puoi essere avvicinato dai parenti, le uniche parole di conforto arrivano da loro, da medici, infermieri e collaboratori, pronti a tirarti su il morale mentre rischiano la vita, sapendo che ti senti solo come un cane abbandonato in autostrada". A quali momenti particolarmente difficili ha assistito? "Ogni tanto ascoltavi un’infermiera che chiamava i familiari di qualche ricoverato, dicendo che lì in ospedale c’erano magari un orologio e una catenina da ritirare. Sapevamo tutti bene come si trattasse di qualcuno che non ce l’aveva fatta". Vorrebbe consigliare qualcosa a chi ci legge? "Non sono un medico, ma non fidatevi neanche del migliore amico, potrebbe avere il Coronavirus e non saperlo. Non date niente per scontato, proteggetevi il più possibile. Se riuscite, restate a casa e se dovete necessariamente andare a fare la spesa, quando rientrate, lasciate fuori gli indumenti e lavateli". E a casa sua che accade? "La mia famiglia domani (oggi, ndr ) termina il periodo di quarantena nella nostra abitazione a Montepertico, ma probabilmente mia moglie Anna, che poteva presumibilmente essere stata contagiata, vorrà fare il tampone prima di riprendere il lavoro in farmacia. Quando è successo tutto, il 9 marzo, ho anche allertato la Asl per ‘segnalare’ i miei genitori, solo così, con la legge – sorride – potevo costringere mio padre a stare rinchiuso in casa quattordici giorni a sopportare mia madre". © RIPRODUZIONE RISERVATA