Sos degli apicoltori: "Siamo allo stremo, dobbiamo nutrire noi le api o muoiono"

Lo scenario è preoccupante. L’agronoma Ferrante spiega la situazione

Un apicoltore

Un apicoltore

La Spezia, 10 giugno 2021 - I messaggi che arrivano dal mondo degli apicoltori sono drammatici sos. Colpa di una nuova stagione fallimentare su cui ha pesato un quadro climatico avverso, caratterizzato negli ultimi mesi da piogge e freddo che stanno mettendo a rischio gli allevamenti.

Uno scenario che è motivo di grave preoccupazione, come sottolinea Daniela Ferrante , agronoma di Cia Liguria: "Il miele di erica arborea, il primo miele ligure della stagione, pregiato e per certe caratteristiche apprezzato da pochi, non è stato prodotto, perché così poco da essere lasciato come nutrimento alle api. Non solo: certi apicoltori hanno dovuto anche nutrire artificialmente gli insetti per non farli morire di fame, aggiungendo un’ulteriore spesa. Non è andata meglio all’acacia, il più conosciuto e commercializzato: perso anche quello. Ci si augura di riuscire a raccogliere almeno un po’ di millefiori e di castagno, poi la stagione è finita".

Una stagione, quella del 2021, che gli apicoltori definiscono disastrosa e che si aggiunge a quelle degli ultimi anni non certo favorevoli, per molti fattori. Una situazione che sta comportando la rinuncia a più della metà degli alveari, miele e prodotti di qualità e impollinazione per le piante agricole e le spontanee.

"La Liguria è caratterizzata dal microclima – spiega Ferrante – ma quest’anno il freddo lo abbiamo sentito tutti. Le api escono di giorno, col caldo, poi improvvisamente si ha il calo delle temperature e non riescono a fare ritorno nelle arnie. Questi sbalzi sono un danno". Che fare per limitare i danni? "E’ necessario mettere in campo sostegni economici – afferma Ivano Moscamora, direttore Cia Liguria – . Al Tavolo Verde abbiamo chiesto di attivare le procedure per la richiesta di risarcimento per danni causati da calamità naturali".

Le api hanno un istinto fortissimo, spiegano gli esperti, che le porta a lavorare incessantemente: l’ape regina depone le uova e le operaie nutrono le larve e se non c’è abbastanza nutrimento si sacrificano per far nascere nuove api. I primi ad essere eliminati sono i fuchi, i maschi, utilizzati per la sola fecondazione delle regine.

"Le api e tutti gli insetti impollinatori sono fondamentali per il mantenimento della biodiversità – sottolinea Ferrante – per questo motivo il settore apistico deve essere sostenuto a livello europeo". Alla Spezia l’apicoltura, a parte le ultime stagioni pesantemente condizionate dal fattore meteo, è una voce rilevante dell’economia agricola. In provincia, quanto a strutture di allevamento, il primato spetta a Calice al Cornoviglio che vanta un numero di alveari – considerati quelli delle imprese e quelli degli hobbisti – superiore a tutti i comuni della provincia: secondo un censimento recente, ben 559 contro i 542 del capoluogo, al secondo posto in classifica. Nella top ten della produzione troviamo poi Sesta Godano (497 alveari), Varese Ligure (471) e Beverino 425).

La Val di Vara la fa da padrona e il miele è una delle punte di diamante delle eccellenze del biodistretto. Quello degli allevamenti biologici, è stato un autentico boom, prima della crisi: le strutture di questo tipo rappresentano il 10 per cento del totale degli allevamenti.