Caso Corini, il racconto dell'ex fidanzata: "La sedazione venne accelerata"

Le rivelazioni dell’ex fidanzata dell’avvocato nel processo alla sorella per omicidio

Isabò Barrack, 25 anni, ex fidanzata dell’avvocato Marco Corini

Isabò Barrack, 25 anni, ex fidanzata dell’avvocato Marco Corini

La Spezia, 5 marzo 2019 - Non ha visto la manovra ma ha colto gli effetti: il flusso accelerato del sedativo, la valvolina di regolazione connessa alla flebo aperta. Gli ultimi momenti del calvario di Marco Corini prima di spirare sono impressi nella mente dell’ex fidanzata Isabò Barrak, promessa sposa ma non diventata coniuge dell’avvocato, liquidata con 550mila euro dopo la contesa testamentaria nella quale era entrata come destinataria della villa di Ameglia e di un milione di euro ed era uscita ricca ma non ricchissima, con l’effetto indotto di evitare di essere spodestata di tutto se la mamma avesse battagliato per avere la quota legittima.

«Quanto tornai a fianco a Marco dopo essermi trattenuta nella mia stanza, vidi che il flusso dell’infusione era maggiore rispetto a prima. La circostanza venne colta anche da Giuliana Feliciani. Marzia lo diminuì, agendo sulla rotellina...».

Ieri la giovane seichellese, fra le molte cose ricostruite, ha rivelato quello che vide con i suoi occhi l’ultimo giorno di vita di Marco, fra cui l’affondo del sedativo che, se realmente consumato, è avvenuto fuori protocollo, all’insaputa dello stesso palliativista che era intervenuto a sedazione iniziata, dopo aver «approfittato» delle conoscenze della collega rianimatrice Marzia Corini in ordine alle valutazioni sulla necessità di dar corso a quello che doveva essere un lento avvicinamento alla morte. «Perché i dolori erano lancinanti» ha sempre detto Marzia.

Sul punto ieri Barrack: «La situazione del 25 settembre 2015 era analoga al giorno precedente; anzi in mattinata Marco pareva migliorato».

La stoccata di Isa è poi stata quella della rivelazione della iniezione in vena, quando emerse una fuoriuscita di sedativo dal port che lo incanalava: ciò avvenne dopo la visita serale del palliativista e di quelle precedenti del giudice Diana Brusacà e di Giseppe Rampini, allertati dalla stessa ragazza all’ora 21enne che sentiva puzza di bruciato ma non capiva.

«Si era creato un rigonfiamento della pelle; il flusso non finiva più in vena. Marzia decise di fare l’iniezione. Poco dopo Marco mori..». Una ricostruzione che collide con quella (rivisitata rispetto alle dichiarazioni alla polizia giudiziaria) resa in aula dall’infermiere Fabio Giannelli: «Il flusso è sempre stato lo stesso. Non ci fu alcuna iniezione di sedativo in vena per accelerare la morte».

L’infermiere, ricordiamo, indagato per concorso in omicidio con Marzia Corini, era poi uscito indenne dall’inchiesta ed è comparso in aula coma testimone. La divergenza di ricostruzione pone ore alla Corte presieduta dal Gianfranco Petralia un vaglio di credibilità del camice bianco di Isabò. Lei ieri ha anche sostenuto che il liquido messo in vena per la sedazione fu attinto da fiale prelevate dalla borsa dell’infermiere. Sul punto Marzia Corini si era assunta la totale responsabilità, sostenendo di aver rubato le fiale di Mizadolam dal reparto di rianimazione dell’ospedale di Pisa, presso il quale aveva lavorato. E il primario di Pisa aveva sostenuto di aver consegnato a Giannelli solo liquido fisiologico, flebo, catetere e due fiale di gastroprotettore.

Corrado Ricci