NICOLA CIUFFOLETTI
Cronaca

L’allarme di Manai: "Troppe regole assurde"

"Burocrazia asfissiante, le flotte si stanno sempre più assottigliando"

Roberto Manai

Roberto Manai

La pesca professionale in Maremma vive uno dei momenti più complessi degli ultimi decenni. Lo conferma Federpesca, che denuncia una situazione economica e normativa sempre più insostenibile per i pescatori, stretti tra costi crescenti, vincoli europei e difficoltà nella vendita del pescato. "Oggi chi esce in mare – dice Roberto Manai, responsabile di Federpesca – deve affrontare non solo la fatica fisica del lavoro, ma un carico burocratico che spesso è superiore a quello di una media impresa. Eppure parliamo di piccoli imprenditori, famiglie, gente che vive di un’attività che da secoli è parte del nostro territorio".

I numeri parlano chiaro. Nella grande pesca – ovvero imbarcazioni superiori alle 10 tonnellate di stazza lorda – in provincia di Grosseto sono operative circa trenta unità: 26 suddivise tra Porto Santo Stefano e Porto Ercole, 4 a Castiglione della Pescaia. Ma almeno dieci di queste hanno già chiesto l’arresto definitivo dell’attività. La piccola pesca, che coinvolge imbarcazioni più leggere (sotto le 10 tsl), conta un centinaio di natanti, ma solo la metà è realmente attiva. "E quelli operativi – aggiunge Manai – spesso non riescono neppure a coprire i costi, nonostante vendano direttamente il pesce al porto o tramite furgoni frigo".

Oltre alle difficoltà di mercato, i pescatori devono fare i conti con una selva di norme e controlli. Le imbarcazioni più grandi devono essere dotate di radar, sistemi Ais e Vsm, oltre a trasmettere in tempo reale dati su posizione, carico e destinazione. Ogni cassetta di pesce deve essere etichettata con nome comune e scientifico della specie, peso, origine e destinazione. Anche la piccola pesca non è esente da obblighi, seppur in forma semplificata.

"Persino la vendita diretta – spiega Manai – richiede l’attrezzatura del natante con coperture idonee, separazione delle aree di vendita e limiti precisi imposti dal regolamento UE. Non è facile essere in regola".

Uno dei nodi critici resta la commercializzazione. Il pescato fresco, venduto direttamente, rappresenta solo il 20% del totale della piccola pesca. Il resto finisce nelle mani dei grossisti, che dettano prezzi spesso insostenibili per chi ha lavorato 12 o 14 ore in mare. "Un paradosso – aggiunge Manai –: il consumatore chiede prodotto fresco, locale e sostenibile, ma al pescatore non viene riconosciuto il giusto valore economico. Serve una politica del mare che tenga conto della realtà del territorio: non possiamo applicare le stesse regole di chi pesca nel mare del Nord".

N.C.