
Giovanni Maria Flick L’equilibrio perfetto tra gli studi giuridici e le cariche istituzionali
Di Giovanni Maria Flick, ospite domani alle 18,30 alle Terme Marine Leopoldo II, per il talk show con Giancarlo Capecchi, sappiamo tutto o almeno molto della sua vita pubblica. Ma forse ci sfugge come sia arrivato ad essere quello che è, un riferimento istituzionale importante, sempre consultato quando si deve dare un giudizio su argomenti delicati o che hanno bisogno di pareri oggettivi. E’ per questo che facciamo raccontare proprio allo stesso professor Flick, prendendolo da uno scritto recente che l’ex ministro ha preparato per una presentazione, alcune fasi della sua vita.
"La prima fase del percorso (magistrato, professore e avvocato) è stata quella delle riflessioni e degli studi di carattere più generale e accademico. È stata segnata dal tecnicismo, dall’argomentare giuridico (e molte volte dalla noia), dalla complessità quando non dalla complicazione (rendere difficili le cose facili attraverso quelle inutili) anche per l’inesperienza dell’età. In questa prima fase ho cercato di affrontare – dice Flick – alcuni temi cruciali della realtà giuridica, stimolato anche da vicende concrete particolarmente significative, con i saggi pubblicati dalla Giuffrè. Sono i temi dei delitti contro la pubblica amministrazione, soprattutto il peculato (diventato ‘di moda’ con alcune clamorose vicende degli anni ’60 come il ‘processo alla sanità’). Sono quelli del diritto (con il plagio) e del dovere di vivere condizionato (con le contraddizioni della repressione in materia di droga). Sono, ancora, i temi del rapporto fra pubblico e privato nell’economia, e della sovrapposizione fra rischio d’impresa e rischio penale (soprattutto nel settore del credito). Sono infine soprattutto i temi della criminalità organizzata (con i primi maxiprocessi), del suo rapporto con la criminalità economica, con la corruzione e con la politica (il triangolo dell’illegalità fra Nerolandia, Mafiacity e Tangentopoli, poi sfociata in Mani Pulite". Poi la seconda fase del percorso.
"E’stata quella istituzionale di ministro della Giustizia (nel primo governo Prodi) e di giudice costituzionale, con un breve intermezzo come rappresentante del Governo italiano alla Convenzione per la redazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In quella fase ho smesso di scrivere (tranne pochi interventi a carattere istituzionale, che mi erano stati richiesti, come la celebrazione del 25 aprile 1945, patrimonio di tutti e non solo di una parte politica, e del 2 giugno 1946). Mi è sembrato opportuno anzi doveroso astenermi in quella fase dall’esprimere opinioni di studioso, come tali costituenti espressioni più o meno inevitabili di orientamenti e convinzioni personali. Sarebbero potuti essere in potenziale o effettivo contrasto con i limiti di entrambi i ruoli istituzionali. Un ministro più che scrivere libri giuridici deve studiare e scrivere proposte di legge, circolari, decreti e così via; deve ‘amministrare’. Ho cercato di farlo con l’attività e in particolare con i famigerati ‘pacchetti Flick’ illusoriamente rivolti ad una serie di interventi globali e coordinati sui molteplici problemi del pianeta giustizia, che fino ad allora erano stati affrontati poco ed in modo del tutto disorganico. Solo alcuni di quegli interventi hanno superato il ‘fuoco amico’ della politica; il disinteresse o la strumentalizzazione da parte di quest’ultima; il carattere provocatorio e forse prematuro delle proposte rispetto ai tempi; soprattutto il ‘fuoco nemico’ della magistratura. Sin da allora essa era coalizzata, nonostante le divisioni profonde al suo interno (ideologiche e di potere). Nel respingere i tentativi ‘alieni’ di affrontare il problema delle riforme. Altri interventi sono stati ripescati tardivamente e recentemente nel dibattito sulla giustizia (penso ad esempio alla ‘pagella ai giudici’ e alle ‘porte girevoli’ tra essa e la politica). Altri ancora sono scomparsi, come tante altre riforme promesse e poi dismesse. La regola del silenzio vale altresì, se non più ancora, per il giudice costituzionale che a mio avviso non deve manifestare opinioni personali in articoli o libri, ma deve studiare e partecipare a decisioni e scrivere motivazioni insieme ai colleghi".